
Reti neurali
liquide
Reti neurali liquide
Avete mai notato le velocissime evoluzioni che gli uccelli riescono a fare nel cielo, passando tra palazzi, antenne, alberi e ostacoli di ogni tipo, in ambienti per loro spesso completamente nuovi? Sono anche capaci di cacciare prede in luoghi mai esplorati prima. Volano per migliaia di chilometri, alternando sotto le loro ali paesaggi profondamente diversi tra loro, eppure riescono a svolgere tutti i compiti fondamentali per la loro esistenza adattandosi al contesto.
Sono queste evidenze che hanno ispirato gli scienziati dell’MIT a realizzare dei nuovi algoritmi di intelligenza artificiale che simulano il comportamento del cervello e poi li hanno applicati al volo dei droni, ottenendo risultati stupefacenti.
Ma andiamo con ordine. Nel 2021, i ricercatori del MIT hanno annunciato di aver costruito reti neurali “liquide”, ispirate al cervello di piccole specie: una classe di modelli di apprendimento automatico flessibili e robusti che imparano sul campo e possono adattarsi a condizioni mutevoli, per compiti critici per la sicurezza nel mondo reale, come guidare e volare.
Questo “imparano sul campo” è il punto chiave della storia. Gli algoritmi producono reti neurali liquide, cioè “flessibili, causali, robuste e spiegabili”, con una velocità di esecuzione dei calcoli di gran lunga superiori al passato. Questo tipo di reti neurali potrebbe quindi essere utilizzato per qualsiasi attività che preveda la comprensione dei dati nel tempo, in quanto sono compatte e adattabili anche dopo l’addestramento, mentre molti modelli tradizionali sono fissi. In maniera un po’ banale, lo chiameremmo “training on the job”. E se il calcolo è veloce ed efficiente può essere anche montato a bordo di veicoli o velivoli, senza demandare la capacità di calcolo a computer o cloud collocati altrove.
Droni
Dopo due anni hanno applicato la rete al sistema di controllo di volo di un drone. Gli scienziati hanno introdotto un metodo in grado di padroneggiare compiti di volo verso l’obiettivo basati sulla visione in ambienti intricati e sconosciuti. Le reti neurali liquide, che possono adattarsi continuamente a nuovi input di dati, hanno dimostrato di saper prendere decisioni affidabili in domini sconosciuti come foreste, paesaggi urbani e ambienti con rumore, rotazione e ostacoli e punti ciechi.
Il sistema del team è stato prima addestrato sui dati raccolti da un pilota umano, per vedere come trasferire le abilità di navigazione apprese in nuovi ambienti, in presenza di drastici cambiamenti di scenario e condizioni. A differenza delle reti neurali tradizionali, che imparano solo durante la fase di addestramento, i parametri della rete neurale liquida possono cambiare nel tempo, rendendoli non solo interpretabili, ma anche più resistenti a dati imprevisti o disturbi.
I quadricotteri usati per l’esperimento sono stati in grado di seguire un bersaglio mobile, schivare ostacoli imprevisti, cambiare traiettoria, muoversi insieme o contro altri velivoli, trovare obiettivi nascosti e molto altro ancora. In pratica, in futuro ci basterà un comando vocale del tipo “seguimi” o “ritrova il cane che si è smarrito” o “sorvola quella zona per verificare che non ci siano persone in pericolo” ed il drone eseguirà senza aiuto ulteriore.
Drones navigate unseen environments with liquid neural networks – Gemm.ai

Realtà
sintetiche
Realtà sintetiche
In questo periodo il dibattito sull’intelligenza artificiale sembra esclusivamente concentrato su Chat GPT3, la sua versione 4, i large language models, ma accade anche molto altro. In particolare, abbiamo assistito a due esempi notabili di “invasioni di campo” dell’AI in altre discipline, in questo caso la fotografia ed il giornalismo che sono, ancora una volta, segnali non più deboli del prossimo megatrend in arrivo, il deep fake.
Titolo della fotografia Pseudomnesia: The Electrician
La fotografia che vedete in copertina ha vinto il Sony World Photography Award. E’ bellissima e ritrae due donne di generazioni diverse, in un momento intimo e familiare con uno stile che ricorda vagamente quelle vecchie immagini dalle quali ti aspetti di veder sbucare un fantasma. Peccato che, al momento di ritirare il premio, il suo autore, l’artista tedesco Boris Eldagsen lo ha rifiutato, svelando di aver co-creato la fotografia insieme ad un intelligenza artificiale. Boris non ha “barato” per fama o desiderio di gloria (è già abile, bravo ed ampiamente riconosciuto), ha mentito volutamente sulla integrale paternità del suo lavoro, per stimolare il dibattito. Su una professione, quella del fotografo, che rischia di essere profondamente modificata dagli algoritmi. Per qualcuno addirittura potrebbe scomparire.
Nessuno ha dubitato del suo lavoro, nessuno ha potuto verificare con alcun metodo che l’AI fosse entrata in campo, nessuno probabilmente si è nemmeno posto il dubbio. E’ bastata l’autodichiarazione dell’autore per accedere alla competizione. La provocazione ovviamente serve ad invitare gli organizzatori a creare sezioni separate per le fotografie di diversa provenienza, comprese quelle co-create insieme all’intelligenza artificiale. Boris ha ragione, non se ne parla abbastanza e, come dico ormai da tempo, non potremo più fidarci della provenienza di quello che vediamo o sentiamo.
Un’intervista sgradevole
Il secondo episodio della settimana, che ha avuto una discreta risonanza anche da noi, è l’intervista all’ex campione di Formula 1, Micheal Schumacher. La famiglia, infatti, sta pianificando un’azione legale contro un settimanale tedesco per una “intervista” al sette volte campione di Formula Uno generata da un’intelligenza artificiale.
Le presunte citazioni di Schumacher recitano: “La mia vita è completamente cambiata dopo l’incidente. È stato un momento terribile per mia moglie, i miei figli e tutta la famiglia.” Probabilmente sarà anche vero nella sostanza, ma oggettivamente, mi fa un po’ schifo l’idea che un algoritmo abbia generato questi contenuti, senza consenso e senza rispetto per il pilota e chi lo circonda. Che magari una cosa così semplice, ma intima non l’avrebbe mai data in pasto ad una rivista per vendere qualche copia in più.
Ma forse da ancora più da pensare che il magazine in questione non ha fatto tutto da solo. Pare abbia “comprato” l’intervista da un software di intelligenza artificiale che ovviamente qualcuno si è preso la briga di “formare” con frasi ed altre informazioni di e su Schumacher, per rendere il tutto realistico. Ho parlato spesso a The Future Of di queste possibilità e dei problemi relativi alla privacy ed al “diritto di autore” di queste cose. Ma se avessero simulato un Dante o un Leonardo Da Vinci mi avrebbe incuriosito, in questo caso invece mi infastidisce. E a voi che sensazione fa?

Fusioni
bizzarre
Fusioni bizzarre
In origine fu Schwarzenegger, metà uomo, metà macchina. Ma era solo fiction. Poi sono arrivate protesi strepitose che dentro e fuori dal corpo umano, supportate sempre più da algoritmi intelligenti hanno consentito di mitigare gli effetti di molte disabilità. Dopo abbiamo cominciato ad impiantare connettori e terminali al cervello e sono nate le brain computer interfaces.
Ora una novità incredibile. Un nuovo approccio basato sulla stampa 3D al laser per far crescere fili conduttori flessibili all’interno del corpo. In un recente articolo pubblicato su Advanced Materials Technologies, i ricercatori hanno dimostrato di poter utilizzare questo approccio per produrre strutture a forma di stella e di quadrato all’interno dei corpi di vermi microscopici.
Quindi niente impianti dall’esterno, ma direttamente la stampa all’interno di una creatura vivente. Trovare il modo di integrare l’elettronica nei tessuti viventi potrebbe essere importante in molti campi, dagli impianti cerebrali alle nuove tecnologie mediche.
Inchiostri e stampanti
L’approccio dei ricercatori prevede l’uso di una stampante 3D Nanoscribe ad alta risoluzione, che spara un laser a infrarossi in grado di polimerizzare una varietà di materiali sensibili alla luce con altissima precisione. Hanno inoltre creato un inchiostro su misura che include il polimero conduttore polipirrolo, che secondo precedenti ricerche potrebbe essere usato per stimolare elettricamente le cellule negli animali vivi. L’animale “assume” l’inchiostro sotto forma liquida e poi la stampante gli da una forma desiderata per svolgere determinate funzioni potenziali. Perché ancora di potenzialità si tratta, oggi quanto contenuto nel corpo del verme è inerte ed inutile.
L’idea di stampare direttamente un’interfaccia all’interno del nostro corpo che svolga funzioni mediche fondendosi con l’organismo non è pellegrina, ma ovviamente ad oggi ancora lontanissima da diventare realtà. Che poi serva per curare malattie neurologiche, aprire a nuove possibilità di realtà virtuale dall’interno o per riparare altri impianti umani precedentemente inseriti nel corpo, questo ad oggi è ancora fantasia.
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