
Scanner laser hanno lasciato ai posteri l’impronta accurata di Notre Dame.
Ricercatori hanno scoperto come produrre energia dalla caduta della neve.
Riusciremo a controllare il nostro smartphone con la forza del pensiero?
La tecnologia 8K che rivoluzionerà il modo di vedere la televisione.
Le auto volanti, dalla fantascienza ci stiamo lentamente avvicinando alla realtà.
I MISTERI ED I LASER DI NOTRE DAME
Settimana scorsa abbiamo assistito attoniti all’incendio della cattedrale di Notre Dame. Nei primi 80 minuti, quanto è bastato per far cadere la guglia e crollare il tetto di legno, abbiamo rischiato di perdere 8 secoli di storia, arte, cultura e religione. Se non fosse stato per l’intervento straordinariamente professionale dei vigili del fuoco, sarebbe crollato tutto.
Cosa c’entrano The Future Of e le tecnologie del futuro con tutto questo? Qualche giorno fa mi è capitato per le mani un articolo del National Geographic del 2015, che raccontava la storia di Andrew Tallon, uno storico dell’arte, che senza saperlo, grazie al suo contributo potrebbe aiutare la rinascita di questo impareggiabile patrimonio dell’umanità, perché tale è Notre Dame.
Tallon qualche anno fa ha constatato che sulla Cattedrale sono stati scritti fiumi di inchiostro, sono state scattate milioni di fotografie, ma se la sua bellezza e la sua magnificenza sono immediatamente evidenti, in realtà non sappiamo chi ha costruito questa cattedrale e come. Incredibile.
Il vescovo di Parigi, Maurice de Sully, ha commissionato l’imponente complesso ecclesiastico intorno al 1160, eppure i nomi di coloro che per primi hanno costruito questo capolavoro sono perduti nella storia. Non hanno lasciato tracce, ma solo secoli di speculazioni.
Tallon con l’aiuto dei laser scanner del XXI secolo, è andato a caccia degli indizi nascosti nelle antiche pietre di Notre Dame e di altre strutture medievali, rivoluzionando la nostra comprensione di come sono stati realizzati questi spettacolari edifici. Ha usato le scansioni per entrare nelle teste dei costruttori medievali.
Le scansioni laser, con la loro squisita precisione, non perdono nulla. Montato su un treppiede, il raggio laser percorre il coro di una cattedrale, ad esempio, e misura la distanza tra lo scanner e ogni punto che colpisce. Ogni misura è rappresentata da un punto colorato, che crea cumulativamente un’immagine tridimensionale della cattedrale. “Se hai fatto bene il tuo lavoro”, dice Tallon, la scansione è “precisa entro cinque millimetri”.
Ma lui fa anche qualcosa in più. Ogni volta che effettua una scansione, scatta anche una fotografia panoramica dallo stesso punto e cattura lo spazio tridimensionale sia sotto forma di punti che di immagini. Si creano quindi mappe fatte di fotografie sovrapposte perfettamente ai punti della scansione generati dal laser e ad ognuno è possibile associare il colore del pixel in quel preciso punto della fotografia.
Nascono fotografie panoramiche incredibilmente realistiche ed accurate. A Notre Dame, ha effettuato scansioni da più di 50 viste all’interno e intorno alla cattedrale, raccogliendo più di un miliardo di punti di dati.
Le scansioni laser hanno portato a nuove e sorprendenti informazioni sui costruttori di Notre Dame. Per prima cosa, che a volte hanno preso scorciatoie. Anche se i costruttori medievali hanno cercato di creare abitazioni perfette per lo spirito di Dio, le scansioni di Tallon rivelano che l’estremità occidentale della cattedrale è “un pasticcio totale…” per dirla con le sue parole. Le colonne interne non sono allineate e nemmeno alcune delle navate laterali. Piuttosto che rimuovere i resti delle strutture esistenti dal sito, gli operai sembrano aver costruito intorno a tali strutture. Probabilmente il risultato di un taglio dei costi dagli esiti discutibili.
Altro esempio. Sulla base dei cambiamenti stilistici, gli studiosi hanno a lungo sospettato che i lavori sulla facciata occidentale si fossero fermati per un po’ di tempo prima che le torri potessero essere costruite. Quando Tallon ha scansionato Notre Dame, ha scoperto il perché. La Galleria dei Re – la linea di statue sopra i tre massicci portali – era quasi 3 metri fuori piombo. Tallon concluse che la facciata occidentale, costruita su un terreno instabile, iniziava a sporgersi in avanti e verso nord. La costruzione dovette essere fermata fino a quando i costruttori furono sicuri che il terreno era stato compresso a sufficienza per poter riprendere.
In buona sostanza Tallon, cercando di dare risposte ai suoi quesiti storici, ci ha lasciato un patrimonio di informazioni sulla cattedrale che potranno essere preziose per la sua ricostruzione. E’ chiaro che anche conoscendo per filo e per segno come era prima, sappiamo che non potrà essere ricostruita uguale, e forse non ha neanche senso, ma di sicuro il suo lavoro ha consegnato la struttura all’immortalità, al millimetro di precisione. E se oggi in alcune Università del mondo qualcuno sta già usando la stampa 3D alimentata dalle scansioni di Tallon per costruire modellini fedeli di altre basiliche, chissà che un giorno non potremo rivedere la “foresta”, cioè quell’intrico labirintico di travi di legni secolari che costituivano il tetto di Notre Dame.
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ENERGIA ELETTRICA DALLA CADUTA DELLA NEVE
Ricercatori della UCLA hanno progettato un nuovo dispositivo che genera elettricità dalla caduta della neve. Il primo nel suo genere, questo dispositivo è economico, piccolo, sottile e flessibile come un foglio di plastica. Se pensavate di averle già sentite tutte, energia dal sole, dal vento, dall’acqua, dal movimento del corpo, dai nostri passi su una superficie, dall’energia cinetica degli organi interni… scommetto che la neve suona come una novità anche per voi.
I ricercatori lo chiamano “nanogeneratore triboelettrico a base di neve”, o Snow TENG. Un nanogeneratore triboelettrico, che genera carica attraverso l’elettricità statica, produce energia dallo scambio di elettroni. Questi tipi di dispositivi sono stati utilizzati per realizzare generatori che traggono energia dai movimenti del corpo, i touchscreen e persino i passi sul pavimento.
“L’elettricità statica deriva dall’interazione di un materiale che cattura gli elettroni e di un altro che rinuncia agli elettroni”, ha detto Kaner, che è anche un illustre professore di chimica e biochimica, di scienza dei materiali e di ingegneria e membro del California NanoSystems Institute dell’UCLA.
La neve si carica positivamente e libera gli elettroni. Il silicone – un materiale sintetico simile alla gomma che è composto da atomi di silicio e atomi di ossigeno, combinato con carbonio, idrogeno e altri elementi – è caricato negativamente. Quando cade, la neve entra in contatto con la superficie del silicone, che produce una carica che il dispositivo cattura, creando elettricità.
“La neve è già carica, così abbiamo pensato, perché non portare un altro materiale con carica opposta ed estrarre tale carica per creare elettricità”, dicono i ricercatori che hanno pubblicato le scoperte sul dispositivo sulla rivista Nano Energy.
Il team di ricerca ha utilizzato la stampa 3D per progettare il dispositivo, che ha uno strato di silicone e un elettrodo per catturare la carica. Il team ritiene che il dispositivo potrebbe essere prodotto a basso costo, data la facilità di fabbricazione e la disponibilità di silicone. Il silicone è ampiamente utilizzato nell’industria, in prodotti come i lubrificanti, l’isolamento dei fili elettrici e gli impianti biomedici, e ora ha il potenziale per la raccolta di energia.
Il dispositivo può funzionare in aree remote perché fornisce la propria energia senza bisogno di batterie. Circa il 30 per cento della superficie terrestre è coperto di neve ogni inverno, periodo durante il quale i pannelli solari spesso non funzionano. L’accumulo di neve riduce la quantità di luce solare che raggiunge l’area utile dei pannelli, limitandone la potenza e rendendoli meno efficaci. Il nuovo dispositivo potrebbe essere integrato nei pannelli solari per fornire un’alimentazione elettrica continua quando nevica.
Lo Snow TENG produce una quantità piuttosto piccola di elettricità nella sua forma attuale – ha una densità di potenza molto bassa per metro quadrato. Ciò significa che non lo si può collegare direttamente alla rete come un pannello solare, ma può essere integrato in un pannello per dare una piccola quantità di corrente autoalimentadosi.
Inoltre, è un dispositivo intelligente, praticamente una stazione meteorologica che può dire quanta neve cade, la direzione da cui cade la neve e la direzione e la velocità del vento. Può essere utilizzato per il monitoraggio degli sport invernali, come lo sci, per valutare con maggiore precisione i movimenti e migliorare le prestazioni di un atleta quando corre, cammina o salta. Ha quindi il potenziale per identificare i principali modelli di movimento utilizzati nello sci di fondo, che non possono essere rilevati con un orologio intelligente o con gli altri strumenti di osservazione disponibili oggi.
Potrebbe inaugurare una nuova generazione di dispositivi indossabili e autoalimentati per il monitoraggio degli atleti e delle loro prestazioni. Può anche inviare segnali, indicando se una persona è in movimento. Può dire quando una persona sta camminando, correndo, saltando o marciando. Per semplicità può fare da sensore in determinate condizioni ambientali non del tutto esplorate dalle soluzioni tecnologiche disponibili oggi.
La produzione di energia è uno dei problemi centrali dell’umanità. La possibilità di averne a basso costo, con metodi semplici, anche in luoghi particolari o per applicazioni di nicchia va sempre intesa positivamente, quindi complimenti ai ricercatori dell’UCLA, in attesa di vedere dove e quando incontreremo la loro innovazione o una sua derivazione nella vita di tutti i giorni.
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CONTROLLO MENTALE DEGLI SMARTPHONE
Il mio primo telefono cellulare è stato il Motorola Microtac 8200. Credo fossimo attorno al 1996. Era un GSM di quasi due etti e mezzo, senza fotocamera, senza alcun tipo di connettività, wi-fi, Bluetooth, NFC, però teneva ben 100 nominativi in rubrica ed aveva la vibrazione.
Del resto lo usavo solo per telefonare, una delle funzioni probabilmente meno usate del mio attuale smartphone, che però scatta foto meglio di Helmut Newton, naviga in internet alla velocità di un battito di ciglia, mi fa vedere film interi, mi riconosce dalla mia impronta digitale e dalla mia faccia ed ovviamente mi consente di ascoltare il podcast The Future Of.
Se all’epoca mi avessero detto che oggi 20/25 anni dopo avrei avuto quello che ho in mano oggi, probabilmente mi sarei fatto una risata. Per i film andavo da Blockbuster, per le foto portavo i rullini a sviluppare, mentre quanto ad Internet nel 1996 era da nato solo da un paio d’anni il primo internet provider italiano, Video On Line (Vol), un concetto che guardavo con un misto di interesse e sospetto, mentre nascevano i primi modem a 56 kbps.
Allora mi sono chiesto ed ho indagato nel web, quale sarà la principale evoluzione dei cellulari nei prossimi 20 anni. Ho letto veramente una miriade di belle idee, tra le quali la ricarica direttamente dall’ambiente, attraverso l’aria, gli schermi flessibili, la possibilità che cambino colore e livrea al solo comando dell’utente, la fusione con la realtà aumentata e gli ologrammi, ma forse l’idea più disruptive che ho appreso è quella del controllo mentale.
Fino a poco tempo fa, il modo principale di usare un telefono era una tastiera fisica. Poi sono arrivate le tastiere virtuali sullo schermo, una cosa che ci appare banale oggi, ma fu una delle tante intuizioni di Steve Jobs, insieme ai touchscreen che usiamo oggi. Con servizi come Google Assistant e Samsung Bixby ed i tanti assistenti digitali in grande crescita, ora possiamo interagire con i nostri dispositivi semplicemente utilizzando la voce. Si da un comando, il telefono esegue. Magari fallisce la prima volta, poi impara e migliora di volta in volta.
E se il prossimo passo in questa evoluzione fosse il controllo mentale? La tecnologia permetterebbe di eseguire tutte le attività che oggi facciamo tramite il tatto o la voce, attraverso il pensiero. Si potrebbe aprire un’applicazione, riprodurre un video o anche modificare un testo con i vostri pensieri. L’uso degli smartphone sarebbe anche molto più veloce con il controllo mentale. Non sarebbe più necessario cercare un’applicazione per aprirla o allungare il dito fino alla parte superiore dello schermo per toccarla.
L’obiezione chiave a questa evoluzione è chiaramente il nostro livello di concentrazione ed attenzione su più cose contemporaneamente. Il dover interagire fisicamente con lo smartphone ci protegge in teoria dai cortocircuiti mentali di tentare di fare due cose contemporaneamente. Se stiamo guidando, non possiamo messaggiare. Possiamo oggi dettare il testo in teoria con la nostra voce, ma comunque significa distogliere parzialmente l’attenzione dalla strada. Se il messaggio nascesse nel nostro cervello saremmo più o meno distratti? Probabilmente la risposta non dipende nemmeno dalla tecnologia, ma dalla complessità del messaggio. Se devo dire “sono in ritardo, arrivo alle 8.30”, pensarlo è rapido e facile, se devo fare una comunicazione delicata nella quale devo pesare le parole, il modo con cui uso il mio cervello è molto più intensivo.
Oppure altro problema, come distinguere un pensiero che vuole restare tale, una semplice riflessione, da uno che invece vuole attivare il nostro smartphone. Facciamo un esempio. Se penso che entro sera devo chiamare la mia mamma per sentire come sta e confermarle che domenica andrò a pranzo da lei, come faccio a tenere questo solo come un pensiero? Lo smartphone potrebbe attivarsi e fare la chiamata solo perché l’ho pensato? Al massimo mi aspetterei che sia in grado di mettere in agenda un reminder che dice “telefonare mamma”, ma è ben diverso dal telefonare. Insomma, ci potrebbe essere un rischio di attivazione involontaria, a meno che ci sia comunque un pensiero che fa da trigger all’attivazione della funzionalità, un po’ come quando oggi dico la parola chiave che attiva lo smartspeaker.
Ma prima di porci dei dubbi, dove siamo oggi? Siamo ancora lontani, ma qualcosa di simile sta diventando realtà e gli scienziati stanno facendo progressi in questo campo. Per esempio, la divisione Building 8 di Facebook sta sviluppando la tecnologia per permettere alle persone di scrivere a macchina con la mente. La velocità di digitazione è di 100 parole al minuto, circa cinque volte più veloce rispetto alla digitazione sui nostri smartphone.
Analogamente, gli scienziati del MIT stanno lavorando su qualcosa di simile con un dispositivo chiamato AlterEgo, che permette all’utente di conversare con le macchine solo con i propri pensieri.
Nella scorsa puntata di The Future Of, vi ho parlato di cablaggio cerebrale, cioè la possibilità di impiantare nel cervello degli elettrodi, che oggi hanno lo scopo di comprendere meglio le malattie neurologiche e consentire nuove cure, ma che domani in teoria potrebbero consentire di collegare il cervello ad un computer per upload o download di informazioni. Non è difficile fare il collegamento e pensare che quel computer possa essere proprio uno smartphone. Anche se, onestamente, spero che per usare il mio telefono in futuro non serva l’uso di qualche strano aggeggio piantato in testa o peggio ancora nella testa.
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LA TECNOLOGIA 8K
Dopo aver parlato nel precedente episodio di smartphone che si possono controllare con la mente, mi faceva piacere ritornare un po’ con i piedi per terra, ma portando alla vostra attenzione comunque una evoluzione tecnologica che cambierà il nostro modo di guardare la televisione, lo standard 8K.
L’idea stessa di 8K oggi è ancora abbastanza confusa ed una ulteriore miglioria così vicina temporalmente al 4K e all’HDR ha fatto quasi gridare alla teoria del complotto circa l’obsolescenza pianificata.
Ma prima di tutto cosa vuol dire 8K? Un televisore ad alta definizione ha una risoluzione di 1.920 x 1.080, ovvero circa 2 milioni di pixel. Un televisore 4K ha una risoluzione di 3.840 x 2.160, ovvero circa 8,3 milioni di pixel. Si tratta di un numero di pixel quattro volte superiore a quello di un televisore HD (raddoppiato in righe e colonne sia verticali che orizzontali), il tutto stipato nella stessa quantità di spazio, indipendentemente dalle dimensioni dello schermo – che è una densità di pixel molto più alta, ed è pensato per offrire un’immagine più nitida.
Un TV 8K ha una risoluzione di 7.680 x 4.320 per un totale di circa 33,2 milioni di pixel. Quindi passare da 4 ad 8 K non significa “migliorare del doppio” la qualità come lascerebbe pensare il moltiplicatore, ma di 4 volte.
Ma cosa significa per noi spettatori questo balletto di numeri? Che la risoluzione 8K è dove la TV incontra i limiti dell’occhio umano. I dati suggeriscono che il valore di 8K, nel fornire un realismo mai visto prima, inizia in realtà da uno schermo da 49 pollici circa e si conclude con un modello da 85 pollici. Tradotto, vuol dire che la scienza suggerisce che i contenuti 8K nativi trasmessi su un televisore 8K possono apparire più realistici di qualsiasi cosa abbiamo mai visto prima su qualsiasi schermo.
Gli scienziati dicono che, a causa del campo visivo dell’occhio umano, è possibile per noi rilevare le linee di scansione di un televisore a certe distanze dai televisori a grande schermo, anche se non riusciamo a individuare i singoli pixel. Il cervello rileva queste linee di scansione e noi registriamo l’immagine come se assomigliasse meno alla vita reale e più alla TV. 8K è in grado di risolvere questo problema rendendo i pixel così piccoli e così densi che il nostro cervello non rileva le linee di scansione e l’immagine appare reale.
Provo a semplificare, se guardate sul vostro televisore l’immagine di una finestra aperta e dietro il mare, non avete dubbi che si tratti di una “proiezione” televisiva. Se fate lo stesso con un televisore 8K ed un’immagine nativa 8K, la qualità è talmente alta da ingannare potenzialmente la vostra percezione e farvi pensare che li dietro ci sia davvero il mare. Poi ovviamente sapete che siete nella vostra casa, che siete lontani qualche ora di macchina dal mare e la razionalità vi riporta con i piedi per terra, ma la qualità lascia davvero a bocca aperta a detta di tutti coloro che l’hanno sperimentata.
Se vi è venuta voglia di vedere come è davvero, però resterete abbastanza delusi dal sapere che c’è un problema. Abbiamo i televisori 8K, ma non abbiamo ancora quasi contenuti girati nativamente in 8K. La storia ha dimostrato che le TV di nuova generazione arrivano sempre prima dei contenuti di nuova generazione, ed oggi stiamo semplicemente assistendo alla ripetizione della storia.
Ovviamente avremo bisogno di un’enorme larghezza di banda per supportare il nuovo standard, ma l’infrastruttura è in fase di realizzazione in questo momento, e i codec di compressione arriveranno appena in tempo per rendere il tutto possibile senza che Internet si fermi a fatica. Anche lo storage è una preoccupazione, ma la storia della tecnologia dimostra anche che lo storage diventa esponenzialmente più grande e più economico nel tempo. Quando ne avremo bisogno, avremo tutti i terabyte necessari per archiviare questi enormi file video 8K con un suono surround ad alta risoluzione. Anche a The Future Of abbiamo parlato di storage, basta pensare alla sfida di realizzare dei dispositivi di archiviazione nel DNA sintetico in grado di archiviare maggiori quantità di dati rispetto ad oggi, in uno spazio molto ma molto più piccolo.
Cosa si presta particolarmente ad essere visto in 8K? Ovviamente, a causa del maggiore realismo lo sport. La TV 8K promette di rendere l’esperienza di vedere gli sport a casa e nei bar più simile che mai ad essere in uno stadio. Saremo in grado di vedere questo in prima persona quando le Olimpiadi del 2020 a Tokyo saranno trasmesse in 8K. Le Olimpiadi sono chiaramente uno dei motori e degli stimoli che hanno spinto i giapponesi e gli asiatici in generale ad essere pionieri in questa tecnologia.
Non è un caso che la prima emittente televisiva che ha iniziato a girare il mondo per realizzare contenuti nativi in 8K, prevalentemente documentari, è proprio NHK, una televisione nipponica. Tra l’altro, se è vero che le stime di televisori 8K venduti già nel 2019 è di oltre 1 milione di unità, è chiaro che chi sta scommettendo su una rapida diffusione potrebbe aver fatto la scelta vincente. Sono abbastanza sicuro che quando la soglia di prezzo dei televisori 8K scenderà sotto i 5.000 €, la curva di adozione accelererà definitivamente.
Mai come in questo caso non ci resta che aspettare e vedere cosa succederà.
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AUTO VOLANTI
Recenti ricerche suggeriscono che le auto volanti potrebbero alla fine essere un modo sostenibile per liberare le strade. I primi modelli sono destinati a volare nei nostri cieli già nel 2019. Inizialmente saranno solo i giocattoli personali, gli sfizi di individui ricchi e curiosi, ma nel lungo termine l’industria le vede come taxi e veicoli per i pendolari del futuro.
Uno dei principali problemi è che volare in auto può essere pericoloso. Prima che visioni futuristiche di un traffico urbano tridimensionale in continua espansione possano avvicinarsi alla realtà, ci sono alcuni seri problemi di sicurezza che devono essere affrontati.
L’industria aeronautica è comprensibilmente avversa al rischio. Gli incidenti aerei tendono ad avere conseguenze molto più gravi di quelli in pista. Ottenere una licenza di pilota per piccoli velivoli è quindi un processo rigoroso, lungo e costoso. Per questo motivo, è probabile che le operazioni di volo su larga scala delle automobili saranno automatizzate, il che significa affidarsi al GPS o ad una tecnologia adeguata di “volo autonomo”.
Il GPS è considerata una tecnologia affidabile, ma fallibile. Infatti è sensibile ai disturbi del segnale che può essere facilmente interrotto se le condizioni atmosferiche non sono ottimali, quindi le attuali normative aeronautiche ne vietano l’uso come mezzo primario per la navigazione.
Le auto stradali a guida autonoma utilizzano la tecnologia laser a infrarossi (LIDAR) per supportare i dati GPS, scansionando l’ambiente per calcolare la distanza dagli oggetti vicini. Tuttavia, tale tecnologia attualmente funziona in modo affidabile solo fino a 100 metri di distanza. Questo non è un problema sulle strade, dove le velocità e le caratteristiche del contesto consentono relativamente pochi rischi: se il segnale GPS si interrompe, normalmente è in grado di recuperare rapidamente e generare una rapida rilocalizzazione della posizione, oppure appunto intervengono tecnologie che lavorano in parallelo e sono in grado di garantire un sufficiente grado di affidabilità. Ma l’ambiente aereo non è disseminato di incroci o semafori. Sono in corso ricerche per sviluppare LIDAR in grado di rilevare oggetti più lontani, ma ad oggi non è affatto certo che questo potrebbe mai essere disponibile ad un prezzo conveniente.
Tra l’altro se gli oggetti statici possono essere rilevati in modo affidabile, trovare un modo per rilevare in sicurezza quelli in movimento rimane un problema tecnologico significativo, ed un ambito di ricerca particolarmente sfidante. La tecnologia ADS-B (Automatic dependent surveillance-broadcast) consente agli aerei di informarsi reciprocamente della loro posizione, ma aerei come alianti e ultraleggeri operano senza corrente elettrica e quindi non possono utilizzare tali sistemi.
Il traffico commerciale vola in corridoi aerei predefiniti ad alta quota, evitando il caos sottostante. Il volo di autovetture, invece, opererebbe nella stessa fascia di altitudine inferiore degli aerei leggeri, dove la pianificazione del percorso è molto più libera. I test governativi di droni autonomi fatti lungo corridoi aerei in cieli relativamente vuoti sono stati un successo e sono avvenuti senza incidenti, suggerendo che in territori scarsamente popolati, i corridoi aerei per auto volanti possono avere un futuro. Chiaramente se pensiamo ai cieli delle nostre affollatissime città però, lo scenario è ben diverso.
Ma come devono essere progettate le auto volanti? Con quali cautele? In questi ambienti affollati, sia gli incidenti che i guasti meccanici possono avere conseguenze catastrofiche. A parte il rischio di collisione, le norme operative devono essere eccezionali e devono essere integrate delle protezioni per evitare la perdita di controllo in caso di problemi meccanici.
Le auto volanti più promettenti e scalabili sono alate, con ventilatori elettrici o rotori multipli inclinabili. Questi sono ragionevolmente sicuri durante la crociera in quanto possono planare per notevoli distanze di sicurezza in caso di problemi. Tuttavia, il loro decollo e atterraggio verticale richiede una spinta massima sostenuta, mettendo a dura prova i motori esattamente nel momento in cui l’interruzione di corrente avrebbe probabilmente le conseguenze più gravi.
Un’autentica sicurezza si ottiene solo sviluppando un’architettura meccanica che consenta al veicolo di atterrare in sicurezza in caso di guasto di componenti chiave. Gli elicotteri, ad esempio, possono atterrare in sicurezza anche in caso di perdita di potenza, inclinando il veicolo verso il basso e utilizzando il flusso d’aria per mantenere i rotori in funzione. E già precipitano lo stesso. Attualmente non esiste una soluzione equivalente per le auto volanti.
Naturalmente, con le aziende che investono molto denaro nel rendere le auto volanti una realtà, è probabilmente solo una questione di tempo prima che le soluzioni vengano sviluppate prendano vita. Nonostante i temi irrisolti siano ancora molti, molte aziende stanno investendo con una visione delle auto volanti come taxi per le città e veicoli per il pendolarismo. Ad esempio, il BlackFly di Opener, che sarà in vendita nel 2019, ha un raggio d’azione di 40 kilometri, poco se pensiamo ad un aereo, probabilmente un valore giusto per un pendolare che deve spostarsi dalla periferia alla città per andare a lavorare o viceversa.
La presenza di operatori pionieri è chiaramente il primo segnale che le cose stanno cambiando, la realizzazione di veicoli commercializzabili si sta avvicinando, anche se restano ancora tantissimi argomenti da sviscerare e problemi da risolvere.
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