
News dal futuro – Adobe e ferrovie cinesi, blackout digitali, grandfather paradox, pazienza ha un limite, cerotti a microaghi, BCI e gaming
In questa puntata:
- Come delle ferrovie cinesi si paralizzano quando Adobe dismette Flash, perché incredibilmente si basavano proprio su tale tecnologia!
- Black-out in alcune città del medio-oriente, causati secondo il governo, dall’eccesso di mining di criptovalute che avrebbero prosciugato la corrente elettrica nazionale.
- Incredibili studi di matematica e fisica teorica dimostrerebbero come il viaggio nel tempo è possibile. Bello, ma a noi interessa la pratica.
- Anche i cinesi perdono la pazienza sull’abuso dell’uso del riconoscimento facciale.
- Un team di scienziati realizza un cerotto a microaghi che potrebbe cambiare per sempre il mondo della diagnostica.
- Vi racconto alcune funzioni delle prossime interfacce computer-cervello a scopo ricreativo… che dovrebbero farvi riflettere sui rischi, oltre che sulle meraviglie, di tale tecnologia.
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ADOBE E LE FERROVIE CINESI
Nel 2017, Adobe ha annunciato che avrebbe dato l’addio alla tecnologia Flash alla fine del 2020. La piattaforma di Adobe non era granchè amata, aveva problemi di sicurezza, poteva essere difficile da ottimizzare e non funzionava benissimo con tutti i browser, specialmente quelli sui dispositivi mobili. Quando HTML5 è entrato in scena, Flash ha cominciato a cadere in disgrazia e nel luglio 2017, Adobe ha annunciato che avrebbe cessato il supporto alla fine del 2020, dando agli utenti tre anni e mezzo per passare a un nuovo software.
All’inizio di questo mese, il 12 gennaio, Adobe ha dato seguito alle sue dichiarazioni, disattivando le installazioni Flash in tutto il mondo e mandando la tecnologia nel dimenticatoio. Un codice “time bomb” è stato diffuso e, come una bomba ad orologeria, ha spento Flash in ogni angolo del pianeta.
Per la maggior parte di noi, questo ha significato solo che qualche gioco che si trovava nel web ha smesso di funzionare. Al contrario, per alcuni in Cina, però, la morte di Flash ha causato parecchi ritardi al lavoro, perché la città di Dalian, nel nord della Cina, stava facendo funzionare il suo sistema ferroviario proprio su Flash.
FLASH VECCHIO
I funzionari della China Railway Shenyang, infatti, usano un software basato su Flash per pianificare quotidianamente le operazioni ferroviarie.
Il responsabile di una stazione di commutazione ha riferito di non essere più in grado di accedere agli orari della ferrovia, cosa che normalmente facevano attraverso un’interfaccia Flash sul suo browser. Nella mezz’ora successiva, rapporti di guasti simili sono piovuti in testa ai manager della compagnia da tutta la rete, con ben 30 stazioni coinvolte, secondo una dichiarazione riportata da un blog cinese.
Come risultato dell’interruzione, i piani di programmazione e smistamento dei mezzi sono letteralmente implosi e le ferrovie sono andate in blocco totale per quasi 20 ore.
Dopo un giorno di caos, la ferrovia ha trovato una soluzione: è tornata a una vecchia versione di Flash senza il codice di autodisattivazione. La ferrovia l’ha installata la mattina presto del 13 gennaio, permettendo la ripresa delle operazioni.
RITORNO AL… PASSATO
Non sono quindi passati ad una nuova tecnologia, che avrebbero avuto modo di pianificare e testare in ben tre anni, ma hanno praticamente installato una versione datata del software. Alcune news, tra l’ilarità popolare e la rassegnazione dei passeggeri locali, hanno persino dichiarato che la versione di Flash utilizzata fosse piratata, ma le ultime informazioni provenienti dall’altra parte del mondo, ci dicono che almeno questa affermazione è inaccurata. Il resto, invece, purtroppo è vero.
Ora, possiamo anche accettare che il problema sia figlio della separazione tra l’internet cinese e quella occidentale, che la barriera linguistica non sia da trascurare, ma il caso è davvero interessante. I vari poli geopolitici mondiali stanno muovendo progressivamente verso tentativi di indipendenza o vera e propria sovranità tecnologica: regole proprie, fornitori locali preferenziali, champions domestici, sviluppo di tecnologia per fare da sé senza dover dipendere sempre dagli americani, dai cinesi o da altri player che stanno in altre parti del mondo. Quanto ha davvero senso questo approccio? Oggi nessuno lo mette in discussione, l’Europa ne ha fatto un cardine del proprio sviluppo futuro. La nostra infrastruttura di rete e tutti quelli che operano a vario titolo per farla funzionare, sono praticamente considerati strategici o critici, esattamente come un tempo valeva solo per strade, ferrovie, telecomunicazioni, acquedotti, produzione di energia e così via.
Nell’esempio cinese invece, mi chiedo, ma una semplice collaborazione non avrebbe potuto fare meglio?
BLACKOUT DIGITALI
La seconda notizia della settimana arriva dall’Iran, un luogo del quale si parla raramente in ambito tecnologico, ma questa storia merita un pizzico di attenzione.
Il governo iraniano ha incolpato i Bitcoin e le altre forme di criptovaluta per le interruzioni di corrente in tutto il paese che hanno lasciato milioni di persone ed attività al buio.
Gran parte della capitale, Teheran, e altre grandi città, tra cui Mashhad, Tabriz e Urmia, hanno sperimentato ripetuti blackout.
I residenti sono ricorsi a Twitter per mostrarne gli effetti, con gli utenti che hanno postato video del traffico lungo le strade non illuminate, interamente al buio.
Ma andiamo per gradi. L’Iran ha una delle dieci maggiori capacità di produzione di criptovalute al mondo con 450 MW al giorno, secondo quanto riportato dall’Associated Press.
E allora perché la corrente utilizzata per fare il cosiddetto mining non è più sufficiente e va a discapito delle forniture elettriche per la gente comune?
COLPA DI TRUMP?
Alcuni collegano il fenomeno al momento in cui l’ex presidente Donald Trump ha re-introdotto le sanzioni statunitensi all’Iran: le criptovalute sarebbero diventate un modo per bypassare l’embargo. E questo ha portato alla nascita di migliaia di farm di criptovalute illegali che consumano l’energia disponibile nel paese. Se a questo sommiamo il fatto che in Iran l’energia elettrica costa meno di un terzo che negli USA per esempio, che già hanno costi piuttosto competitivi, il gioco è fatto e la spiegazione sembra presto detta.
Tanto che il governo locale, avrebbe chiuso la bellezza di 1.600 siti illegali di mining di criptovalute, compresi alcuni nati da una sorta di joint-venture tra operatori locali e cinesi.
E non solo. Il Washington Post ha riferito che il centro di produzione di criptovalute della provincia sud-orientale di Kernan è stato chiuso a causa del suo pesante consumo di energia, nonostante sia pienamente autorizzato ad operare.
Fonti locali riportano che la polizia avrebbe sequestrato oltre 45.000 dispositivi per la produzione di Bitcoin. Numeri da capogiro.
O DELLA MALAGESTIONE?
Ma non è l’unica spiegazione. Altri osservatori riportano semplicemente che i black-out siano causati da anni di malagestione degli operatori pubblici nel gestire, potenziare ed aggiornare la rete di produzione del paese. Nel frattempo, le centrali elettriche sono state private del gas naturale a causa dell’intenso consumo per riscaldare le case private, il che ha portato gli impianti a rivolgersi a un combustibile di qualità inferiore e inquinante che ha causato uno spesso strato di smog che copre Teheran e altre località.
Insomma, probabilmente stiamo assistendo ad un insieme di cause che spiegano i blackout e le criptovalute sono solo una parte della spiegazione.
Semmai il tema di quanta energia consumi la produzione di criptovalute ci interessa in ottica prospettica.
Il mining di bitcoin utilizza una quantità esorbitante di energia, questo è pacifico: erano circa 30 terawattora nel 2017, a Novembre 2020 ne sono stati stimati oltre 77. È tanta elettricità quanta ne serve per alimentare l’intera nazione dell’Irlanda in due anni, così per dare un’idea.
E’ tanto, ma su scale mondiale, i difensori sostengono che se la tecnologia bitcoin dovesse maturare anche di oltre 50 volte la sua attuale dimensione di mercato, sarebbe ancora pari solo al 2% di tutto il consumo di energia.
Ora, io capisco che il 2% sembra poco, ma francamente questo 2% io lo porterei più volentieri a persone e popolazioni in difficoltà, piuttosto che minare criptovalute per profitto.
THE GRANDFATHER PARADOX
In italiano suonerebbe come “il paradosso del nonno” ed anche se ci potrebbe strappare un sorriso, è un argomento serissimo, almeno per i fisici. In estrema sintesi dice questo: se tu potessi andare indietro nel tempo, ed impedire ai tuoi genitori di incontrarsi, come potresti esistere oggi per poter appunto andare indietro nel tempo?
Se state pensando a Ritorno al Futuro ed alla foto di McFly che sbiadisce, dopo che ha malauguratamente interferito nel primo incontro tra i suoi futuri genitori, è esattamente quello di cui stiamo parlando.
Ne deriverebbe quasi a corollario che i viaggi nel tempo sono impossibili. Eppure personaggi come Stephen Hawkings e lo stesso Albert Einstein hanno gettato le basi teoriche per i viaggi nel tempo.
La dinamica classica dice che se si conosce lo stato di un sistema in un particolare momento, questo può dirci l’intera storia del sistema, tuttavia, la teoria della relatività generale di Einstein predice l’esistenza di loop temporali o viaggi nel tempo, dove un evento può essere sia nel passato che nel futuro di se stesso, capovolgendo teoricamente tutto quello che sappiamo sul tempo.
DA EINSTEIN A TOBAR
Nel settembre dello scorso anno uno studente di fisica Germain Tobar, dell’Università del Queensland in Australia, ha detto di aver capito come “quadrare i numeri” per rendere fattibile il viaggio nel tempo senza i paradossi.
Ciò che i calcoli mostrano è che lo spazio-tempo può potenzialmente adattarsi per evitare i paradossi.
Il lavoro di Tobar, come potrete immaginare, è incomprensibile per noi comuni mortali che la matematica l’abbiamo fatta a scuola l’ultima volta molti anni fa, ma esamina l’influenza dei processi deterministici (senza alcuna casualità) su un numero arbitrario di regioni nel continuum spazio-temporale, e dimostra come anche le curve temporali chiuse (come previsto da Einstein) possono adattarsi alle regole del libero arbitrio e della fisica classica.
IL SISTEMA TROVERA’ LA SOLUZIONE
Tradotto, se qualcosa è accaduto, io posso anche andare nel passato e cambiarlo, ma il sistema troverà una soluzione alternativa per far accadere lo stesso quello che doveva accadere.
Insomma, se anche McFly non avesse fatto nulla per far incontrare e baciare i suoi genitori, al ballo “Incanto sotto il mare”, comunque i due si sarebbero innamorati lo stesso in altro modo e nulla sarebbe cambiato nella sostanza.
La nuova ricerca appiana il problema con un’altra ipotesi, che il viaggio nel tempo è possibile, ma che i viaggiatori del tempo sarebbero limitati in ciò che fanno, per impedire loro di creare un paradosso. In questo modello, i viaggiatori del tempo hanno la libertà di fare quello che vogliono, ma i paradossi non sono possibili.
Mentre i numeri potrebbero funzionare, la ricerca vi assicuro è serissima, in realtà piegare lo spazio e il tempo per andare nel passato rimane qualcosa di ancora inafferrabile: le macchine del tempo che gli scienziati hanno ideato finora sono così teoriche, che attualmente, esistono solo come calcoli su una pagina.
E comunque quando questo aggeggio raggiungerà le 88 miglia orarie, ne vedremo delle belle, gente!
LA PAZIENZA NON E’ INFINITA
Un sondaggio su oltre 1.500 residenti cinesi anonimi, condotto dal Beijing News Think Tank, martedì ha rilevato che oltre l’87% degli intervistati è contrario all’uso della tecnologia di riconoscimento facciale nelle zone commerciali. Gran parte dei rispondenti accoglie con disagio l’abuso di telecamere e raccolte di dati anche in ospedali, scuole, parchi, metropolitane e tanti altri luoghi del vivere comune.
Il primo pensiero potrebbe essere che, in caso di anonimato, non sia particolarmente difficile esprimere un’opinione contraria anche in Cina.
Ma in realtà i segnali di un’insofferenza verso la tecnologia arrivano da più direzioni.
Le preoccupazioni sull’uso del riconoscimento facciale negli spazi pubblici in Cina, come i centri commerciali e i punti panoramici, hanno attirato l’attenzione del pubblico nel 2019, quando la prima causa legale che sfidava l’uso del riconoscimento facciale nel paese è stata presentata da Guo Bing, un professore associato di diritto alla Zhejiang Sci-Tech University, contro un parco naturale di Hangzhou.
CANCELLARE I DATI
La causa si è conclusa alla fine del 2020 quando un tribunale locale ha dato ragione a Guo, ordinando al parco di cancellare i dati di riconoscimento facciale del professore. Un’altra reazione è arrivata nel marzo dello scorso anno, quando Lao Dongyan, un professore della Tsinghua University di Pechino, ha contestato l’introduzione di serrature a scansione facciale per entrare nei complessi residenziali, citando problemi di sicurezza dei dati.
In Cina, le telecamere di riconoscimento facciale hanno fatto la loro comparsa negli uffici per registrare i dipendenti al lavoro, e la tecnologia è utilizzata anche per controllare le persone che entrano o escono dai campus universitari e dalle stazioni della metropolitana.
Le fughe di dati, che ormai noi chiamiamo familiarmente “data leaks”, sono state motivo di preoccupazione in Cina negli ultimi anni, con immagini di volti, numeri di previdenza sociale e numeri di telefono, spesso trovati in vendita online a prezzi allarmanti.
E quindi, anche lo Stato si è mosso in ottica di protezione dei cittadini, anche se è andato a colpire principalmente il settore privato.
Pechino ha espresso preoccupazione per il potenziale di abuso commerciale e ha emesso un progetto di legge sulla protezione delle informazioni personali, nel dicembre dello scorso anno, che è stato progettato per limitare il controllo delle aziende tecnologiche sui dati personali. Il progetto di legge afferma che le informazioni sensibili come la biometria facciale devono essere “utilizzate per scopi specifici e solo quando è sufficientemente necessario”.
Diciamo che non è ancora molto come protezione dei cittadini e agendo verso le big-tech locali, in ogni caso lascia ampia libertà d’azione all’uso governativo del riconoscimento facciale, che, al contrario non ha paletti.
In ogni caso, meglio di niente, sperando che sia solo l’inizio di un percorso virtuoso.
CEROTTI A MICROAGHI
Forse la parola cerotto è un po’ riduttiva per la storia che vi sto per raccontare, c’è molto di più.
Gli ingegneri della McKelvey School of Engineering dell’università di St. Louis hanno sviluppato un cerotto a microaghi che può essere applicato alla pelle, catturare un biomarcatore di interesse dal fluido interstiziale e, grazie alla sua sensibilità senza precedenti, permettere ai medici di rilevarne la presenza.
Se vi state chiedendo cosa diavolo vuol dire, provo a spiegarlo con parole semplici.
I medici usano campioni di sangue per cercare i biomarcatori delle malattie: si tratta, per esempio, di anticorpi che segnalano un’infezione virale o batterica, come il COVID, o altri evidenziatori indicativi di un’infiammazione in corso, come nel caso dell’artrite reumatoide e molte altre malattie.
Questi biomarcatori però non si trovano solo nel sangue. Possono anche essere scovati nel denso liquido che circonda le nostre cellule, ma in una misura talmente bassa che rilevarli non è per nulla facile.
Finora. Perché il cerotto a microaghi cambia completamente lo scenario.
PELLE E PLASMONIC FUOR
Trovare un biomarcatore usando questi cerotti è simile a fare le analisi del sangue. Ma invece di usare una soluzione per trovare e quantificare il biomarcatore nel sangue, i microaghi lo catturano direttamente dal liquido che circonda le nostre cellule nella pelle. Una volta che i biomarcatori sono stati catturati, vengono rilevati usando la fluorescenza per indicare la loro presenza e quantità.
E anche qui i ricercatori hanno fatto passi da gigante. Il team, infatti ha una sorta di arma segreta: la “plasmonic-fluor”, una nano etichetta a fluorescenza ultraluminosa contenuta nel cerotto. Rispetto alle etichette fluorescenti tradizionali, il segnale dei biomarcatori proteici bersaglio brillava circa 1.400 volte più dei metodi noti, e quindi diventava rilevabile anche a basse concentrazioni.
E se ancora non bastasse, il cerotto sembra avere altre due caratteristiche cruciali: costa poco ed il suo uso è praticamente indolore.
Sul costo i ricercatori hanno fatto solo dichiarazioni di principio, mentre sul dolore “la magia” è presto spiegata: i piccoli aghi contenuti sul lato del cerotto che va a contatto con la pelle, vanno a circa 400 micron di profondità nel tessuto dermico, e quindi non toccano nemmeno i nervi sensoriali.
Insomma, un’altra freccia al nostro arco per rilevare facilmente e velocemente possibili malattie, praticamente anche in ambiente domestico. Pensate se fosse stato disponibile per rilevare il covid durante questa pandemia, che contributo avrebbe potuto dare un “semplice” cerotto.
BCI E GAMING
In una candida intervista con una emittente neozelandese, il co-fondatore di Valve Gabe Newell si è seduto per parlare della sua visione futura delle interfacce cervello-computer (le famose BCI, dall’inglese brain computer interfaces), e di come la tecnologia è destinata a cambiare tutto su come viviamo e giochiamo oggi.
Valve è un produttore di giochi elettronici che ha realizzato giochi che vedono ogni giorno coinvolti milioni di giocatori e sicuramente il CEO ha un’approfondita conoscenza del suo settore. Ma anche di quello che sta facendo lui, visto che Valve ha dichiarato una partnership con OpenBCI, società neurotech che realizza dispositivi BCI open-source e non invasivi.
Ora, Newell ha fatto tutta una serie di dichiarazioni che da sole fanno pensare ad uno sforzo di posizionamento sul mercato di qualcosa che sta per arrivare, ma c’è dell’altro.
DICHIARAZIONI
Ne cito qualcuna, perché il livello del messaggio è interessante. Nella prima ci dice che le BCI saranno un “evento a livello di estinzione per ogni forma di intrattenimento“. Il termine extinction-level suona quasi come “big-bang”, solo che l’uno enfatizza l’inizio di qualcosa, mentre l’altro la fine di tutto.
Il vecchio intrattenimento come lo conosciamo è destinato a sparire. E poi lancia un messaggio ai programmatori “se sei uno sviluppatore di software nel 2022 che non ha le BCI nel suo laboratorio di test, stai facendo un errore stupido”.
Ed ancora “tutti potranno avere tecnologie di lettura ad alta risoluzione del segnale cerebrale integrate nelle cuffie, in tante modalità diverse”. Ed infine l’affermazione curiosa che la ricerca a breve termine in questo campo è così veloce, che si sente esitante a commercializzare qualcosa per la paura di rallentare lo sviluppo.
Insomma Newell, abbiamo capito, entro la fine del 2022 lancerai un visore di realtà virtuale dotato di qualche feature di lettura dei segnali cerebrali, ad un prezzo abbastanza popolare e ti servono programmatori per completare più in fretta lo sviluppo.
Ma quello che davvero interessa di più è quando si parla di alcune di queste capacità delle BCI. Primo la funzione EEG, cioè quello che comunemente chiamiamo elettroencefalogramma, quell’esame strumentale che permette la registrazione dell’attività elettrica delle cellule cerebrali ed è utile nella definizione di episodi critici come i disturbi del sonno, quelli della memoria o altre manifestazioni transitorie. Tra le quali per esempio l’epilessia, un termine che parlando di gaming spesso torna alla ribalta.
LA EEG E’ SOLO LA PUNTA DELL’ICEBERG
E questa è solo la punta dell’iceberg. L’altra feature potrebbe essere l’elettro-oculografia, che è una tecnica per misurare il potenziale permanente corneo-retinico che esiste tra la parte anteriore e posteriore dell’occhio umano. Le applicazioni principali sono nella diagnosi oftalmologica e nella registrazione dei movimenti oculari.
Per poi passare alla elettro-miografia, una tecnica di medicina elettrodiagnostica per valutare e registrare l’attività elettrica prodotta dai muscoli scheletrici.
Vi basta? Ma figuriamoci, le BCI promettono anche di misurare l’attività elettrodermica, che poi è la proprietà del corpo umano che causa una variazione continua delle caratteristiche elettriche della pelle. Tranquilli se sudate non prendete la scossa, ma ricordatevi che la sudorazione è controllata dal sistema nervoso simpatico, e la conduttanza cutanea è un’indicazione dell’eccitazione psicologica o fisiologica. Ed il device quindi lo saprà.
E per non farsi mancare nulla si parla anche di fotopletismografia, che è un metodo di misurazione ottica semplice ed economico che viene spesso utilizzato per il monitoraggio della frequenza cardiaca. Detta PPG, è una tecnologia non invasiva che utilizza una fonte di luce e un fotorilevatore sulla superficie della pelle per misurare le variazioni volumetriche della circolazione del sangue.
Dette tutte in fila spaventano un po’ o sbaglio? Quindi tutti pronti a metterci questi visori e consegnare a qualche big-tech i nostri dati più intimi? Arriva l’io-algoritmico. Le telecamere cinesi di riconoscimento facciale a confronto… sembrano roba da dilettanti.
SALUTI
Grazie per aver ascoltato The Future Of, davvero! Avresti potuto ascoltare la radio, avresti potuto far girare un vinile, avresti potuto mettere su una cassetta, avresti potuto usare uno stereotto, eh, a sapere cosa fosse, e invece hai preferito The Future Of. E’ per questo che ti ringrazio, ed hai ancora centinaia di puntate da scoprire.
Questa puntata è finita, ma non andare via, ancora un istante.Ti volevo solo invitare a condividere questa puntata di The Future Of e parlare di questo podcast ai tuoi amici, ai colleghi ed agli appassionati di futuro.
Se invece vuoi parlare con me la mia email è andreamarco.ferrante@gmail.com e The Future Of lo trovi sul sito internet, Instagram, Facebook ed ovviamente il canale Telegram.
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