Performance di Starlink, udito robot, chip neuromorfici, strade per auto autonome, spray rivoluzionario

Lo spazio dei curiosi di futuro

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News dal futuro – performance di Starlink, udito robot, chip neuromorfici, strade per auto autonome, spray rivoluzionario

In questa puntata i segnali di futuro sono:

  • performance di Starlink: ora che la costellazione di SpaceX ha 600 satelliti in orbita sbirciamo nelle performance di cui gode il Cliente finale
  • udito robot: i robot si sono evoluti percependo il mondo esterno grazie a vista e tatto, ora qualcuno sta introducendo anche l’udito, con risultati interessanti
  • chip neuromorfici: l’intelligenza artificiale non è solo software, ma richiede anche hardware dedicati, una review dei progressi di Intel, MIT ed IBM
  • strade per auto autonome: Google insieme ad un gruppo di player del settore auto e sotto l’egida dello stato del Michigan inizia a progettare le strade del futuro
  • spray rivoluzionario: le smart windows conferiscono grandi benefici, ma sono ancora costose, ecco spiegato come una soluzione a basso costo può già sconvolgere un mercato emergente

La startup della settimana: Atomo Coffee, USA, le meraviglie del caffè molecolare.

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INTRO

Benvenuti o bentornati a The Future Of: questo è lo spazio dei curiosi di futuro. 

Io sono Andrea Ferrante, ed anche durante l’estate, vi racconto le tecnologie, i colpi di genio e le discontinuità che potrebbero diventare grandi e plasmare il modo in cui vivremo domani.

Questa settimana il menù è davvero gustoso: cominciano a trapelare le prime informazioni sulla performance dei satelliti Starlink, la costellazione di SpaceX che vuole portare internet dal cielo. Anche la ricerca ci propone alcune chicche: esperimenti per dotare i robot di udito per comprendere l’ambiente circostante, chip neuromorfici sempre più potenti a supporto dell’intelligenza artificiale e spray da spruzzare sui vetri per renderli intelligenti, condurre elettricità e respingere il calore. E ovviamente non mancano le notizie sui big, con Google impegnata a costruire una strada ottimizzata per le auto autonome. Ed infine chiudiamo, ovviamente con il caffè: la startup della settimana è l’americana Atomo Coffee, grazie alla quale scopriremo cosa sono il caffè molecolare ed il movimento upcycle. 

Siete curiosi? Partiamo.

PERFORMANCE DI STARLINK

In queste settimane si è parlato molto di SpaceX e del progetto di Elon Musk di portare internet a tutto il pianeta ed in particolare a zone remote, grazie ad una gigantesca costellazione di satelliti posizionata in orbita bassa, a meno di 600 km dalla terra. Anche a The Future Of vi ho parlato di space economy, di costi calanti per produrre e lanciare i piccoli cubesat, ma ora che finalmente c’è in orbita un considerevole numero di esemplari, è ora di vedere se il tutto funziona. Dopo aver lanciato circa 600 satelliti Starlink ed avere un’autorizzazione per i prossimi 12.000 dalla Federal Communications Commission (la FCC), cominciano a trapelare i dati delle performance dei primi beta users.

La promessa di SpaceX è di raggiungere un 1 Gb al secondo per utente una volta a regime ed una latenza inferiore ai 20 millisecondi. La parola chiave ovviamente è “a regime” visto che con appena il 5% dei satelliti lanciati sul totale, il fatto che le performance odierne siano ancora lontane da quelle teoriche ci può stare.

Infatti gli speed test hanno rilevato velocità di download tra gli 11 ed i 60 Mbps e latenze comprese tra 31 e 94 millisecondi.

Anche se 60 Mbps non sono un gigabit, si tratta di una velocità più alta di quella offerta da molti servizi DSL nelle aree rurali dove SpaceX è probabile che incontri un grande interesse: e non si tratta di pochi clienti, visto che l’operatore americano ha un obiettivo di 5 milioni di utenti home-Internet nei soli Stati Uniti.

RISULTATI DI OOKLA

Un rapporto Ookla sulle velocità della banda larga fissa nel Dicembre 2018, indicava una velocità media di download negli Stati Uniti di 96 Mbps. Sono anche già passati due anni, la tecnologia progredisce, e la media è pur sempre quella del pollo, ma il fatto che la costellazione si stia progressivamente avvicinando ai valori medi nazionali, sembra promettente. 

Anche se, tecnicamente non dovrebbe essere la velocità di download il parametro chiave di valutazione, bensì la latenza. Nei test di Ookla la latenza è misurata con il famoso ping, che misura il tempo di andata e ritorno in millisecondi di un messaggio che un client invia ad un server, più appunto il tempo di risposta del server stesso.

E’ la bassa latenza che dovrebbe consentire a talune applicazioni come i giochi, per esempio, di funzionare alla perfezione. Il problema è che non esistendo un’altra rete di satelliti appositamente creati per lo scopo, non esiste alcun parametro di riferimento. Solo un goal da raggiungere.

I test della FCC hanno rilevato che le latenze dei servizi via cavo variano tra 18ms e 24ms, quelli della fibre tra 5ms e 12ms, la DSL tra 27ms e 55ms, mentre i tradizionali satelliti a banda larga che utilizzano le orbite geostazionarie (quelle a ben 35.000 km dalla terra per intendersi) hanno una latenza misurata di circa 600ms.

Insomma pare che Starlink non sia partita per nulla male, nonostante avversari e detrattori e noi restiamo in osservazione ed in attesa dei prossimi risultati.

UDITO ROBOT

Avete mai pensato al fatto che la maggior parte dei robot non percepisce alcun suono? Vivono nel silenzio. Lo sviluppo della robotica si è basato prima sulla vista e poi sul tatto, ma sentire dei suoni e, più che altro, dare loro un significato che aiuti nello svolgimento di una qualche attività, è rimasto per lungo tempo “out of scope”, quasi ignorato. Non sto parlando di Alexa che riconosce la tua voce e la trasforma in un comando di ricerca che invia al cloud, ma dell’utilizzo di suoni per comprendere meglio l’ambiente circostante. Cosa per altro ovvia per l’uomo.

I ricercatori della Carnegie Mellon University hanno proprio sperimentato che la percezione dei robot potrebbe migliorare notevolmente aggiungendo un altro senso: l’udito.

In quello che secondo loro è il primo studio su larga scala delle interazioni tra suono e azione robotica, i ricercatori del CMU Robotics Institute hanno scoperto che i suoni possono aiutare un robot a differenziare gli oggetti, come un cacciavite metallico e una chiave inglese. L’udito, inoltre, potrebbe aiutare i robot a determinare quale tipo di azione ha causato un suono e aiutarli a usare proprio i suoni per prevedere le proprietà fisiche dei nuovi oggetti con i quali sono chiamati ad interagire.

LO STUDIO

Lo studio ha rilevato che il tasso di performance di robot dotati di “udito” era piuttosto alto, consentendo loro di classificare con successo alcuni oggetti nel 76 per cento dei casi.

Per realizzare il loro studio, i ricercatori hanno creato un ampio dataset, registrando simultaneamente video e audio di 60 oggetti comuni, come giocattoli, utensili, scarpe, mele e palline da tennis, mentre scivolavano o rotolavano dentro un corridoio e sbattevano contro i suoi lati.

Il team ha catturato le interazioni sonore tra oggetti e robot utilizzando un apparecchio sperimentale chiamato Tilt-Bot, una sorta di scatolo quadrato attaccato al braccio di un robot; posizionavano un oggetto nel contenitore e lasciavano che il robot passasse alcune ore a spostarlo in direzioni casuali con vari livelli di inclinazione, mentre le telecamere e i microfoni registravano ogni azione.

L’esperimento ha ovviamente la sua utilità intrinseca come detto, per aiutare i robot a riconoscere gli oggetti, anche quelli mai vista prima, facendo supposizioni provenienti dai suoni da esso generati, ma più in generale va inquadrato nel mare di ricerche che stanno insegnando alle macchine ad interagire con l’ambiente e dare un senso a tutto ciò che c’è attorno. Un ulteriore tassello che sta spingendo i robot ad avere capacità sempre più simili, se non spesso migliori, di quelle dell’uomo.

CHIP NEUROMORFICI

Insegnare ai robot a comprendere immagini e suoni è solo un aspetto della continua ricerca verso macchine dotate di capacità cerebrali paragonabili a quelle umane. L’altro percorso, che si sta svolgendo in parallelo, è quello dell’aumento della potenza e del miglioramento delle infrastrutture hardware a supporto di tali attività.

Le tecnologie del futuro infatti, come i veicoli autonomi e i robot, avranno bisogno di accedere ad un’enorme quantità di dati e informazioni e processarli in tempo reale. Oggi, machine learning e intelligenza artificiale ci hanno già dato qualche esempio di cosa ci aspetta in futuro, però il loro funzionamento dipende sempre dalla potenza dei computer. E la necessità di velocità, potenza e dimensioni potrà solo aumentare, con il rischio che se l’hardware non seguirà il software, questo faccia da ostacolo allo sviluppo.

La soluzione sembra essere quella dei chip di Neuromorphic Computing, che possono elaborare un volume enorme di dati, imparare compiti e sviscerare modelli matematici complessi ad altissima velocità. Inoltre ci si aspetta che questi chip consumino meno energia degli attuali, fino a 1000 volte meno, e possano lavorare con l’efficienza dei supercomputer a costi ovviamente più abbordabili.

Mentre alcuni stanno cercando di copiare la forma fisica del cervello umano, altri stanno cercando di replicare la sua funzione. È su quest’ultimo filone che c’è ottimismo, in quanto ci si aspetta che possa sostituire in modo più efficiente la vecchia idea di Gordon Moore di impacchettare quanti più transistor possibili su strati di silicio.

SITUAZIONE

E quindi a che punto siamo? 

Intel ha prodotto Loihi, un chip di appena 14 nanometri con oltre 2 miliardi di transistor. Contiene un motore a microcodice programmabile per l’addestramento direttamente su chip, con 128 moduli, dove ognuno ha un modulo di apprendimento integrato e un totale di circa 131.000 “neuroni” computazionali che comunicano tra loro, consentendo al chip di comprendere gli stimoli.

Ancora più spettacolare è il TrueNorth di IBM. Ha 4.096 moduli, un processore da 28 nm sviluppato da Samsung con 5,4 miliardi di transistor. È il più grande chip IBM nel volume di transistor e utilizza meno di 100Mw di potenza, simulando complesse reti neurali. L’architettura di TrueNorth può affrontare i problemi di “visione, udito e fusione multisensoriale” integrando capacità simili a quelle del cervello in dispositivi in cui il calcolo è vincolato da necessità di potenza e velocità estreme.

Anche il prestigioso MIT non è stato a guardare. I suoi ricercatori hanno costruito un chip con più di 100 trilioni di sinapsi che simulano l’operato dei neuroni nel cervello. In una simulazione, ha consentito di riprodurre la scrittura umana con una precisione del 95%. Potrebbe essere utilizzato nella produzione di umanoidi e nella tecnologia di guida autonoma.

Questi sono solo esempi, anche se molto potenti, ed altri produttori stanno lavorando sullo stesso fronte, perché questi sviluppi vanno considerati come abilitanti della prossima generazione di intelligenza artificiale e quindi questo è un tema da osservare con grande attenzione.

STRADE PER AUTO AUTONOME

Come vi ho raccontato qualche puntata fa, Google e la sua società SideWalk Labs hanno abbandonato l’idea di costruire un nuovo quartiere smart ipertecnologico a Toronto, ma questo non vuol dire che il colosso di Mountain View abbia rinunciato all’idea di costruire ambienti dedicati per le tecnologie del futuro.

Il nuovo progetto infatti consiste nel costruire una strada, un corridoio di 40 miglia che metta in collegamento il centro di Detroit con l’area circostante di Ann Arbor, per testare tutte le infrastrutture necessarie per la mobilità autonoma, per le auto senza guidatore.

Lo stato americano del Michigan ha infatti avviato una partnership con Cavnue, una società in orbita Google, proprio per questo scopo. Cavnue lavorerà con Ford, General Motors, BMW, Honda, Toyota oltre che con la cugina Waymo, per sviluppare gli standard di funzionamento delle strade autonome in tutto il paese.

Inizialmente il focus sarà sul trasporto di merci, e poi verrà esteso al traffico veicolare per il trasporto di persone.

COSA C’E’ DA FARE

Non si tratta ovviamente di sviluppare il semplice percorso, si prevede che la strada correrà contigua a quella già esistente, bensì di definire gli standard di software, protocolli di comunicazione tra i veicoli, sensoristica ad-hoc, connettività e chi più ne ha più ne metta.

Non sarà banale, si prevede che il progetto durerà quasi due anni, ma i 400 milioni investiti dalla holding di riferimento e da altri investitori, nonché la collaborazione tra partner tutti con grande reputazione, lasciano pensare che questa potrebbe essere la volta buona.

Il supporto dello stato del Michigan che si sta proponendo come centro di un “open innovation mobility district” è un altro tassello importante. Del resto Detroit è stata per decenni la capitale mondiale dell’automobile sulla spinta di quei Ford, Chrysler, i fratelli Dodge e tutti gli altri imprenditori che prima videro esplodere il loro business, per poi assistere al suo drammatico ridimensionamento.

Ovviamente sarà interessante capire quanto costerà un km di strada. Pur non essendoci un unico valore di riferimento (dipende dalla complessità del territorio circostante), per dare un ordine di grandezza, in Italia ci si lamentava che la nuovissima Brebemi costasse oltre 38 milioni di euro al km, più o meno il doppio di una normale strada europea. A queste cifre per fare i 65 km tra Detroit ed Ann Arbor servirebbero 2,5 miliardi di Euro e anche secondo gli standard europei poco più di 1. E’ evidente allora che le risorse stanziate da Google bastano solo per una prima fase di studio e poi bisognerà capire se costerà di più fare nuove strade dedicate oppure, come immagino, adattare quelle già esistenti dove possibile.

SPRAY RIVOLUZIONARIO

Ho parlato spesso a The Future Of del bellissimo tema delle smart windows, finestre intelligenti capaci di condurre elettricità, proteggere dal calore, cambiare colore e addirittura diventare un vero e proprio schermo che ci presenta viste bellissime dell’esterno che l’occhio non riesce a distinguere.

Gli esempi virtuosi sono già parecchi. Dopo che l’Empire State Building di New York ha riferito di aver installato finestre intelligenti, sono riusciti a ridurre il consumo energetico e risparmiare 2,4 milioni di dollari e le emissioni di carbonio sono scese di addirittura 4.000 tonnellate. Tutto molto bello, peccato che le finestre intelligenti sono ancora costose.

Sono però in arrivo soluzioni più economiche. I rivestimenti spray sviluppati dai ricercatori dell’Università RMIT di Melbourne, Australia, sono ultrasottili e rivaleggiano con le prestazioni degli attuali standard industriali per gli elettrodi trasparenti.

VETRI TERMOREPELLENTI

La semplice idea di aggiungere un rivestimento trasparente alle finestre esistenti per bloccare il calore e condurre anche l’elettricità potrebbe ridurre radicalmente il costo delle finestre intelligenti a risparmio energetico e del vetro termo-repellente.

Il nuovo metodo di spruzzatura è veloce, scalabile e basato su materiali più economici e facilmente reperibili. Il metodo potrebbe semplificare la fabbricazione di finestre intelligenti, che possono essere sia a risparmio energetico che dimmerabili, così come di vetro a bassa emissività, dove un pannello di vetro convenzionale è rivestito con uno strato speciale per ridurre al minimo la luce ultravioletta e infrarossa.

L’approccio standard per la produzione di elettrodi trasparenti si basa sull’indio, un elemento raro e costoso, e sui metodi di deposizione sotto vuoto, che sono ingombranti, lenti e costosi. Questo rende gli elettrodi trasparenti un costo importante nella produzione di qualsiasi dispositivo optoelettronico.

Nel nuovo studio, pubblicato il 5 agosto su Advanced Materials Interfaces, i ricercatori della RMIT’s School of Science hanno realizzato elettrodi trasparenti utilizzando un materiale molto più economico, l’ossido di stagno, trattato con una speciale combinazione di sostanze chimiche per migliorare la conducibilità e la trasparenza.

Il rivestimento, che ha uno spessore 100 volte inferiore a quello di un capello, sembra davvero promettente.

Ed anche gli economics vanno nella stessa direzione. Si prevede che le dimensioni del mercato globale delle finestre intelligenti raggiungerà i 6,9 miliardi di dollari entro il 2022, mentre il mercato globale del vetro a basse emissioni è destinato a raggiungere i 39,4 miliardi di dollari entro il 2024. Insomma, come direbbe un investitore che ho conosciuto tempo fa, c’è trippa per gatti.

LA STARTUP DELLA SETTIMANA: ATOMO COFFEE, IL CAFFE’ MOLECOLARE

La startup della settimana è l’americana Atomo che ha raccolto un round seed da 9 milioni di dollari per portare il suo caffè molecolare sul mercato. Il team ha fatto “reverse engineering” sul chicco di caffè per creare una miscela unica, gradevole e sostenibile. E non si tratta di una mera idea. In un blind test condotto dalla CNBC, il 70% dei consumatori ha preferito l’infuso meno amaro di Atomo rispetto al caffè convenzionale. Atomo utilizzerà i fondi per costruire la propria torrefazione di produzione nel cuore del distretto industriale di Seattle con un lancio anticipato nel 2021, anche grazie ai fondi raccolti.

Il cambiamento climatico sta mettendo a rischio l’industria globale del caffè, influenzando la qualità, contribuendo alla deforestazione e portando una varietà di specie di caffè selvatico verso la possibile estinzione. La missione di Atomo è quella di utilizzare la scienza e la tecnologia per ricreare il caffè che gli amanti del caffè amano, in modo più sostenibile.

E lo farà partendo da materiali vegetali riciclati come noccioli, semi, e scarti dell’agricoltura locale. Un movimento che va sotto il nome di upcycle e che mira ad utilizzare prodotti che non sarebbero destinati al normale consumo umano, procurati attraverso supply chain sicure e verificate, oltre che processi certificati per la salute umana.

Io non so se rientrerei nel 70% che ha preferito il caffè di Atomo a quello tradizionale, però ovviamente la tentazione di provarlo mi è venuta eccome.

SALUTI

La puntata di The Future Of è quasi finita, ma non andate via, ancora un istante. 

Prima di tutto, grazie di essere stati con me durante le vostre attività quotidiane, in questo periodo magari sotto l’ombrellone, o come spero io la sera sprofondati in una comoda poltrona con un bicchiere di cognac in mano.

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