
News dal futuro – quantum network, di chi è il sole, uno staff di 1.000 robot, l’hyperloop di Verne
In questa puntata, oltre a 3 news dal futuro che ci parlano di scenari intriganti, ho dedicato ampio spazio alla lettura di una storia che si intitola “Un espresso del futuro” che, se avrete la pazienza di ascoltare fino alla fine vi lascerà a bocca aperta:
- Uno. Quantum network. I ricercatori dell’Università di Delft realizzano il primo protocollo per mettere in rete tre computer quantistici, vi spiego perché è un vero breakthrough tecnologico e dove ci può portare.
- Due. Di chi è il sole. Ovvero la storia di un ambizioso progetto da 18 miliardi di sterline, per creare e trasportare energia solare a migliaia di chilometri di distanza. Con non pochi problemi tecnici, finanziari ed impatti geopolitici.
- Tre. Uno staff di 1.000 robot. La catena di alimentari Kroger negli USA apre un primo centro di preparazione degli ordini, dove operano 1.000 robot, che grazie ad un’architettura speciale ed all’intelligenza artificiale fanno tutto da soli.
- Quattro. L’Hyperloop di Verne. Una meravigliosa storia, proveniente dal passato, che descrive per filo e per segno una tecnologia che ancora oggi sogniamo.
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QUANTUM NETWORK
Ho usato la parola network, non computing. Dei quantum computers vi ho già parlato su The Future Of, ma non vi ho mai parlato delle possibili reti di quantum computers. Se una singola macchina può già fare e farà ancora di più in futuro cose mirabolanti, pensate cosa potrebbe fare un’intera rete di macchine che collaborano tra loro.
E ovviamente non è fantascienza. I fisici della Delft University of Technology nei Paesi Bassi hanno collegato con successo tre dispositivi quantistici, ed hanno pubblicato i loro risultati giovedi sulla prestigiosa rivista Science. In passato, due computer quantistici erano già stati “messi in rete” tra loro, ma attraverso un collegamento fisico. E’ evidente che, se per fare una rete, volessimo collegare fisicamente e direttamente tra loro tutti i computer quantistici esistenti, la scalabilità della struttura sarebbe davvero ardua e costosa.
Essere in grado di passare informazioni quantistiche attraverso nodi intermedi, analoghi ai router dell’internet classica, è essenziale per creare una rete quantistica scalabile. Per farlo serviva un protocollo, e questo è quello che i ricercatori della Delft University hanno ottenuto.
Perché era difficile? Mentre l’Internet di oggi distribuisce informazioni in bit, che possono essere rappresentate da uno 0 o da un 1, una futura Internet quantistica farà uso di bit quantistici che possono essere 0 e 1 allo stesso tempo. Uno scenario decisamente più complesso. Trasferire questo tipo di informazione e verificare che fosse stata passata correttamente in due luoghi non collegati direttamente tra loro, non era mai stato provato.
L’informatica quantistica permette e promette elaborazioni a più di cento milioni di volte la velocità di un computer classico. In parole povere, un computer quantistico è in grado di elaborare ogni possibile risposta a un problema simultaneamente. Immaginate la potenza di elaborazione di più dispositivi quantistici, o nodi, collegati attraverso una internet quantistica.
Gli esperti, o forse dovremmo chiamarli ancora sognatori, prevedono che una rete globale di computer quantistici potrebbe teoricamente fornire risposte ad alcune delle nostre domande più impegnative, come risolvere il cambiamento climatico, curare le malattie o risolvere la fame nel mondo.
Ma, non facciamoci troppe illusioni teoriche, il beneficio più immediato è la sicurezza. Se fatto bene, un protocollo di comunicazione sicura dà il vantaggio di non doversi fidare ed affidare ad alcun intermediario: fornitori di hardware, di software, operatore di rete, o il Governo. E se siete un po’ maliziosi, potete anche capire che chi dispone di tale potenza di calcolo e protocolli sicuri, non solo è in grado di proteggere le sue informazioni, ma può anche decriptare quelle degli altri. Sicuramente sarebbe un vantaggio di breve periodo, perché poi anche gli altri si doterebbero della medesima tecnologia, ma nel campo dello spionaggio comunque chi prima arriva meglio alloggia.
L’internet quantistica comunque è ancora un obiettivo lontano, ma questa rete a tre nodi ci avvicina significativamente all’obiettivo. I prossimi passi del Team di Delft sono già previsti. Primo aumentare il numero di nodi e testare nuovi hardware e software dedicati. Secondo, portare nel 2022 la tecnologia fuori dalle mura dei laboratori universitari, utilizzando la fibra di telecomunicazioni della città.
E per non dimenticarcelo, il 2022 è praticamente domani.
DI CHI E’ IL SOLE
La domanda posta così è fin banale. Di tutti. E quando i raggi del sole toccano terra? Qui è un po’ meno banale. E’ di chi se li prende.
La società britannica Xlinks sta progettando di costruire un impianto misto solare ed eolico da 10,5 GW, in Marocco e di vendere l’energia generata dall’enorme impianto, nel Regno Unito. Questo dovrebbe essere reso possibile da una linea di trasmissione ad alta tensione in corrente continua di 3.800 km, che sarebbe collegata a località del Galles e del Devon.
Sostanzialmente un lunghissimo cavo sottomarino, anzi per la precisione quattro cavi collegati tra loro, che porterebbe l’energia dal Marocco all’Inghilterra. Il Marocco ovviamente si trova in una posizione strategica, dato che sarebbe ovviamente più costoso e complesso andare a costruire impianti in paesi africani più interni e lontani dalla costa. E trattandosi di un paese costiero, l’accesso al mare è immediato.
Complessivamente, Xlinks prevede di investire circa 18 miliardi di sterline nel progetto. Quando sarà completamente completato, fornirà 26 Tera Watt Hour di energia stabile e flessibile al Regno Unito ogni anno. In pratica, andrebbe a generare il 7,5% della domanda di elettricità del Paese e contribuirebbe significativamente agli obiettivi di decarbonizzazione nazionale.
Come si rapporta il prezzo di vendita di tale energia rispetto ad altre alternative? Xlinks sta progettando di trasmettere energia nel Regno Unito ad un prezzo di circa £0.048 / kWh, che sarebbe un po’ più dei circa £0.040 / kWh delle attuali gare d’appalto dell’eolico off-shore, ma molto meno delle £0.0925 / kWh della controversa centrale nucleare di Hinkley Point attualmente in costruzione. Pur garantendo sostanzialmente le stesse performance.
Ma ci sono anche un po’ di problemi tecnici e finanziari. Quelli finanziari si riferiscono al fatto che tale prezzo è possibile grazie a speciali contratti di acquisto basati su aste al ribasso, che esistono solo perché il Governo sovvenziona tecnologie che non sono ancora considerate mature. E quando il solare sarà considerato maturo cosa succederà? Il progetto non starebbe in piedi senza le sovvenzioni, lo dichiara la Società stessa.
Il secondo problema riguarda il fatto che i cavi non potranno passare solamente in acque internazionali. Servirà l’autorizzazione di Spagna, Portogallo e Francia, visto che l’infrastruttura passerà vicino alle loro coste. E con l’Inghilterra fuori dall’Unione Europea, quello che prima poteva sembrare facile non è detto che lo sia davvero.
Il terzo problema riguarda i cavi in sé. L’azienda è attualmente in trattative con tre grandi produttori di cavi europei per la costruzione delle linee di trasmissione e il più grande vincolo per lo sviluppo del progetto potrebbe essere un collo di bottiglia per la fornitura di cavi, poiché l’industria eolica offshore ha un forte bisogno di questi componenti. E la capacità produttiva ovviamente non è infinita.
L’ultimo tema riguarda le perdite. Le perdite dei cavi lungo l’intera linea di trasmissione sono stimate tra il 10 e il 12%, ma queste sono giustificate, almeno alla luce delle tecnologie esistenti.
Insomma, il progetto è davvero importante e complesso. Anche se tutto sommato mette insieme solo pezzi di tecnologie già esistenti, le implicazioni finanziarie e geopolitiche non sono banali. Oggi già il mondo trasporta lungo oleodotti e gasdotti, risorse create in un luogo, ma necessarie in un altro. Con la differenza che generalmente i singoli Stati sono proprietari delle strutture create sul loro suolo, qui un’azienda inglese andrebbe in un paese terzo ad installare una infrastruttura che vuole usare solo lei.
Potremmo accontentarci di dire che se paghi puoi ottenere quello che vuoi, ma quello che emerge ancora una volta, è la mancanza totale di una strategia collettiva. Se gli inglesi hanno scelto ormai di fare da soli, l’Europa al contrario, a latitudini non diverse da quelle del Marocco, ha territori in Spagna, Grecia e nel Sud Italia. Il solare di questi paesi potrebbe sfamare di energia l’intero continente, perché non si inizia a parlarne?
UNO STAFF DI 1.000 ROBOT
Settimana scorsa avevamo parlato proprio del tema della tassazione dei robot. Ed eccoci a parlare pochi giorni dopo, dell’apertura del più grande magazzino di preparazione degli ordini di Kroger, negli USA, completamente automatizzato.
Kroger ha più di 2.700 negozi in 35 stati americani, e le sue vendite annuali ammontano ad oltre 120 miliardi di dollari, numeri che la rendono la più grande catena tradizionale di alimentari negli Stati Uniti e uno dei più grandi player mondiali.
Prima della pandemia, Kroger stava rimanendo indietro rispetto ai concorrenti, alcuni dei quali avevano già dei robusti programmi di shopping online in atto prima che Covid colpisse. Kroger ora sembra voler recuperare il tempo e le quote di mercato perdute, costruendo enormi magazzini automatizzati dove i robot preparano gli ordini di alimentari ricevuti online dei clienti.
La costruzione del primo di questi magazzini è stata completata. Ha aperto questa settimana un centro di smistamento di quasi 35.000 metri quadrati a Cincinnati, e sarà presto seguito da uno fuori Orlando. Investimenti da circa 50 milioni di dollari ciascuno.
Ecco come funzionano. Circa 28.000 articoli diversi sono impilati in strati di casse alti tre piani. I robot si muovono lungo una griglia chiamata l’alveare, in cima a queste pile di casse. Ogni robot ha uno spazio vuoto al suo centro e un braccio che può scendere per afferrare singoli oggetti o intere casse, usando un meccanismo di aspirazione per prendere gli oggetti. I robot possono preparare un ordine di 50 articoli in meno di 5 minuti con una precisione del 99 per cento. Ogni robot è in grado di percorrere fino a 14 km in un’ora, praticamente una maratona in meno di mezza giornata. Possiamo dire, senza ombra di dubbio, che sono molto più veloci di un umano.
Gli algoritmi determinano dove gli articoli sono posizionati nella griglia, con gli articoli ordinati più comunemente in alto e quelli acquistati raramente in basso. Altri algoritmi aiutano con l’imballaggio, assicurandosi che gli articoli fragili vadano in cima e che le borse siano pesate in modo uniforme.
E voilà. Gli ordini sono pronti. A guardarli muoversi tutti insieme, questi robot che assomigliano a delle lavatrici, fanno un certo effetto. Anche se non c’è nessun bisogno che abbiano forme o sembianze umanoidi, la danza tecnologica che compiono mentre fanno il loro mestiere è abbastanza inquietante. Se non altro perché praticamente non c’è anima viva, umana intendo, e gli unici rumori che si sentono sono di natura meccanica.
E poi? Nell’impianto dell’Ohio, c’è una flotta di 400 camion di consegna a temperatura controllata che possono contenere 20 ordini ciascuno.
Ok, gli uomini si occuperanno di guidare i camion. Almeno per ora.
Inoltre, la struttura impiegherà altre 400 persone nel servizio clienti, nell’ingegneria, nelle operations, nella gestione dell’inventario e nella qualità.
Insomma, alcune centinaia di posti di lavoro creati, ma sicuramente con uno staff di 1.000 robot, se avessero usato persone per la stessa capacità “produttiva”, avremmo parlato di migliaia di persone.
Kroger ha fatto un investimento utile? si ripagherà da solo? e, se sì, in quanto tempo? Possiamo dire che nel brevissimo la scelta è dubbia. Una certa quantità di persone preferirà comunque il piacere di fare la spesa alimentare in negozio, tra colori, sapori, profumi e forse anche ricordi di tempi passati. Ma siamo una specie in via di estinzione, almeno per ovvi motivi anagrafici.
Secondo, nel breve è atteso un calo degli acquisti alimentari nelle catene. La riapertura dei ristoranti, porterà almeno per un po’ di tempo le persone a mangiare fuori, a ri-sperimentare la vita all’aria aperta ed in giro. Prima verrà sconfitto o almeno contenuto il covid, prima questo accadrà.
Un analista di Credit Suisse ha previsto che Kroger impiegherà circa 8 anni a rientrare dell’investimento. Nel frattempo non c’è neanche bisogno di aspettare 8 anni, il futuro è già qui.
L’HYPERLOOP DI VERNE
Sto per raccontarvi una storia. Anzi leggerla. Perché non l’ho scritta io, l’ho solo tradotta. Ascoltatela fino in fondo, non vi dico nulla. Le sorprese arrivano alla fine.
“ATTENTO!” gridò il mio conduttore, “c’è un gradino!”
Scendendo con sicurezza il gradino così indicatomi, entrai in una vasta stanza, illuminata da accecanti riflettori elettrici, il solo rumore dei nostri piedi rompeva la solitudine e il silenzio del luogo. Dove mi trovavo? Cosa ero venuto a fare lì? Chi era la mia misteriosa guida? Domande senza risposta. Una lunga camminata nella notte, porte di ferro che si aprivano e si richiudevano con un clangore, scale che scendevano, mi sembrava, in profondità nella terra – questo è tutto ciò che potevo ricordare. Tuttavia, non avevo tempo per pensare.
“Senza dubbio ti stai chiedendo chi sono?” disse la mia guida: “Colonnello Pierce, al suo servizio. Dove si trova? In America, a Boston, in una stazione”.
“Una stazione?”
“Sì, il punto di partenza della “Boston to Liverpool Pneumatic Tubes Company”.
E, con un gesto esplicativo, il colonnello mi indicò due lunghi cilindri di ferro, del diametro di circa un metro e mezzo, che giacevano a terra a pochi passi.
Guardai questi due cilindri, che terminavano a destra in una massa di muratura, e si chiudevano a sinistra con pesanti tappi metallici, dai quali un grappolo di tubi veniva portato fino al tetto; e improvvisamente compresi lo scopo di tutto questo.
Non avevo letto, poco tempo prima, in un giornale americano, un articolo che descriveva questo straordinario progetto di collegare l’Europa al Nuovo Mondo per mezzo di due giganteschi tubi sottomarini? Un inventore aveva affermato di aver portato a termine il compito; e quell’inventore, il colonnello Pierce, lo avevo davanti a me.
Pensando mi resi conto dell’articolo di giornale.
Con compiacenza il giornalista entrò nei dettagli dell’impresa. Dichiarò che erano necessarie più di 3.000 miglia di tubi di ferro, del peso di oltre 13.000.000 di tonnellate, con il numero di navi necessarie per il trasporto di questo materiale: 200 navi di 2.000 tonnellate, ciascuna delle quali faceva trentatré viaggi. Descrisse questa Armada della scienza che portava l’acciaio a due navi speciali, a bordo delle quali le estremità dei tubi erano unite le une alle altre, e incassate in una tripla rete di ferro, il tutto ricoperto da un preparato resinoso per preservarlo dall’azione dell’acqua di mare.
Venendo subito alla questione del funzionamento, riempì i tubi – trasformati in una specie di sparapiselli di lunghezza interminabile – con una serie di vagoni, da trasportare con i loro viaggiatori da potenti correnti d’aria, nello stesso modo in cui i dispacci vengono trasportati pneumaticamente intorno a Parigi.
Un parallelo con le ferrovie chiudeva l’articolo, e l’autore enumerava con entusiasmo i vantaggi del nuovo e audace sistema. Secondo lui, ci sarebbe, nel passaggio attraverso questi tubi, una soppressione di ogni trepidazione nervosa, grazie alla superficie interna di acciaio finemente levigato; uguaglianza di temperatura assicurata per mezzo di correnti d’aria, con le quali il calore potrebbe essere modificato secondo le stagioni; tariffe incredibilmente basse, a causa dell’economicità della costruzione e delle spese di lavoro – dimenticando, o mettendo da parte, ogni considerazione sulla questione della gravitazione e dell’usura.
Tutto questo mi tornava ora alla mente.
Così, dunque, questa “Utopia” era diventata una realtà, e questi due cilindri di ferro ai miei piedi passavano da lì sotto l’Atlantico e raggiungevano la costa dell’Inghilterra!
Nonostante l’evidenza, non riuscivo a credere che la cosa fosse stata fatta. Che i tubi fossero stati posati non potevo dubitare; ma che gli uomini potessero viaggiare per questa via, mai!
“Non era impossibile anche ottenere una corrente d’aria di quella lunghezza?” -espressi questa opinione ad alta voce.
“Piuttosto facile, al contrario!” protestò il colonnello Pierce; “per ottenerla, tutto ciò che occorre è un gran numero di ventilatori a vapore simili a quelli usati negli altiforni. L’aria viene spinta da essi con una forza praticamente illimitata, spingendola alla velocità di 1.800 chilometri all’ora, quasi quella di una palla di cannone, in modo che le nostre carrozze con i loro viaggiatori, nello spazio di due ore e quaranta minuti, compiano il viaggio tra Boston e Liverpool”.
“Settecento chilometri all’ora!” Esclamai.
“Non uno di meno. E quali straordinarie conseguenze derivano da una tale velocità! Essendo l’ora di Liverpool quattro ore e quaranta minuti in anticipo sulla nostra, un viaggiatore che parte da Boston alle nove del mattino, arriva in Inghilterra alle 3.53 del pomeriggio. Non è un viaggio fatto velocemente? In un altro senso, al contrario, i nostri treni, a questa latitudine, guadagnano sul sole più di 900 chilometri all’ora, battendo quel pianeta: lasciando Liverpool a mezzogiorno, per esempio, il viaggiatore arriverà alla stazione dove siamo ora alle nove e trentaquattro minuti del mattino, cioè prima di quando è partito! Ha! Ha! Non credo che si possa viaggiare più velocemente di così!”.
Non sapevo cosa pensare. Parlavo con un pazzo? O dovevo dare credito a queste teorie favolose, nonostante le obiezioni che mi sorgevano nella mente?
“Molto bene, così sia!” Dissi. “Ammetto che i viaggiatori possano prendere questa strada folle e che si possa ottenere questa incredibile velocità. Ma, quando si è ottenuta questa velocità, come si fa a controllarla? Quando ci si ferma, tutto deve andare in frantumi!”.
“Niente affatto”, rispose il colonnello, alzando le spalle. “Tra i nostri tubi – uno per l’andata, l’altro per il ritorno – di conseguenza lavorati da correnti che vanno in direzioni opposte – esiste una comunicazione ad ogni giunto. Quando un treno si avvicina, una scintilla elettrica ci avverte del fatto; lasciato a se stesso, il treno continuerebbe la sua corsa a causa della velocità che ha acquisito; ma, semplicemente girando una maniglia, siamo in grado di far entrare la corrente opposta di aria compressa dal tubo parallelo, e, a poco a poco, ridurre a nulla lo shock finale o l’arresto. Ma a cosa servono tutte queste spiegazioni? Una prova non sarebbe cento volte meglio?”.
E, senza aspettare una risposta alle sue domande, il colonnello tirò bruscamente una manopola di ottone brillante che sporgeva dal lato di uno dei tubi: un pannello scivolò dolcemente nelle sue scanalature, e nell’apertura lasciata dalla sua rimozione percepii una fila di sedili, su ciascuno dei quali due persone potevano sedere comodamente una accanto all’altra.
“La carrozza!” esclamò il colonnello. “Entrate”.
Lo seguii senza fare alcuna obiezione, e il pannello scivolò immediatamente al suo posto.
Alla luce di una lampada elettrica sul tetto esaminai attentamente la carrozza in cui mi trovavo.
Niente di più semplice: un lungo cilindro, comodamente imbottito, lungo il quale una cinquantina di poltrone, a coppie, erano disposte in venticinque file parallele. Alle due estremità una valvola regolava la pressione atmosferica, quella all’estremità più lontana permetteva all’aria respirabile di entrare nella carrozza, quella di fronte permetteva lo scarico di qualsiasi eccesso oltre una pressione normale.
Dopo aver trascorso alcuni istanti in questo esame, divenni impaziente.
“Ebbene”, dissi, “non cominciamo?
“Cominciamo?” gridò il colonnello. “Siamo partiti!”
Cominciato – così – senza il minimo scossone, era possibile? Ascoltai attentamente, cercando di individuare un suono di qualche tipo che avrebbe potuto guidarmi.
Se davvero eravamo partiti -se il colonnello non mi aveva ingannato parlando di una velocità di millecento chilometri all’ora -dovremmo essere già lontani da qualsiasi terra, sotto il mare; sopra le nostre teste le enormi onde dalle creste di schiuma; anche in quel momento, forse prendendolo per un mostruoso serpente marino di una specie sconosciuta -le balene stavano battendo con le loro potenti code la nostra lunga prigione di ferro!
Ma non sentii altro che un rumore sordo, prodotto senza dubbio dal passaggio della nostra carrozza, e, immerso in uno stupore senza limiti, incapace di credere alla realtà di tutto ciò che mi era successo, rimasi seduto in silenzio, lasciando passare il tempo.
Dopo circa un’ora, un senso di freschezza sulla fronte mi destò improvvisamente dal torpore in cui ero sprofondato per gradi.
Ho alzato la mano sulla fronte: era umida.
Umida! Perché era così? Il tubo era scoppiato sotto la pressione delle acque – una pressione che non poteva che essere formidabile, poiché aumenta al ritmo di “un’atmosfera” ogni dieci metri di profondità? L’oceano aveva fatto irruzione su di noi?
La paura si impadronì di me. Terrorizzato, cercai di chiamare… e mi ritrovai nel mio giardino, generosamente cosparso da una pioggia battente, le cui grosse gocce mi avevano svegliato. Mi ero semplicemente addormentato mentre leggevo l’articolo dedicato da un giornalista americano ai progetti fantastici del colonnello Pierce -anche lui, temo molto, ha solo sognato.
Michael Verne, figlio di Jules, 1888.
An Express of the Future (gutenberg.net.au)
SALUTI
Grazie per aver ascoltato The Future Of, davvero! Avresti potuto ascoltare la radio, avresti potuto far girare un vinile, avresti potuto mettere su una cassetta, avresti potuto usare uno stereotto, ehm, a sapere cosa fosse, e invece hai preferito The Future Of. E’ per questo che ti ringrazio, ed hai ancora centinaia di puntate da scoprire.
La frase della settimana. “Non puoi unire i puntini guardando avanti, puoi solo unirli guardando indietro. Quindi devi avere fiducia che i punti si uniranno in qualche modo nel tuo futuro. Devi avere fiducia in qualcosa – il tuo istinto, il destino, la vita, il karma, qualsiasi cosa. Questo approccio non mi ha mai deluso e ha fatto la differenza nella mia vita.” Steve Jobs.
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