I segnali deboli sono i primi segni delle “questioni emergenti”. La loro importanza in ambito organizzativo è presto detta: possono essere informazioni precursori di futuri cambiamenti.
Non credo serva ribadire come le moderne aziende, grandi o piccole che siano, vivano in un ambiente incerto che muta rapidamente. E lo stesso vale per i governi, gli enti locali, la maggior parte delle aggregazioni umane sociali, oltre che per i singoli individui.
Spesso i segnali deboli sono considerati alla stregua del Santo Graal della conoscenza sul futuro. Questo è un errore. Per almeno due motivi. Primo, il futuro (al singolare) non si conosce, semmai, i futuri (al plurale) si esplorano. Secondo, se è vero che disporre di “informazioni” privilegiate prima degli altri è un vantaggio competitivo, il singolo segnale, senza l’interpretazione di chi lo riceve, è una mera curiosità utile solo per ottenere un like in più su Twitter o sulla pagina Facebook.
Prima di entrare allora nell’approfondimento di “a cosa servono” e “come si usano” i segnali deboli, che poi sono l’oggetto di questo blog, merita capire meglio cosa sono.
Da Ansoff negli anni 70 ai più recenti futuristi, ognuno ha provato a dare una sua definizione. Questo non è un paper di ricerca, quindi evito l’esposizione della miriade di sfumature disponibili, vi espongo quella più famosa e completa. Ansoff ha scritto “i segnali deboli sono segnali di avvertimento (interni o esterni), eventi e sviluppi troppo incompleti per consentire una stima accurata del loro impatto e/o per determinare la loro risposta a pieno titolo”.
La prima cosa che colpisce è il fatto che possano essere interni o esterni (si intende all’organizzazione). Se stavate pensando di andare su qualche social network o motore di ricerca per cercare cosa sta rapidamente catturando l’interesse del pubblico, il primo spunto è che, a volte, il segnale debole è molto più vicino di quanto stiamo pensando. Ci ritorneremo tante volte.
Il secondo tema rilevante è quello dell’incompletezza. Mi vengono in mente quei film un po’ vecchi, nei quali un poliziotto fischia al ladro che scappa. Voi sentite il fischietto in lontananza, ma non avete ancora capito cosa sta succedendo, finché non vi voltate e catturate (interpretate) l’intera scena.
Infine l’impatto. Il ladro sta correndo verso di voi? Vi darà una spallata e vi farà finire rovinosamente a terra mentre scappa? Oppure gli farete lo sgambetto o lo placcherete, diventando l’eroe della giornata? Oppure continuerete la vostra passeggiata come se nulla fosse? Non avete la minima idea di come andrà a finire. Ma se avete colto la scena, potete decidere cosa fare.
Come ha ben rappresentato Choo nel grafico qui sotto, dal segnale alla conoscenza, la strada è piuttosto lunga e c’è un po’ di lavoro da fare.

Nel prossimo post affronteremo il tema del paradosso sul momento giusto di usare l’informazione e parleremo dei segnali deboli in relazione al tempo.
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