Come catalogare i segnali deboli

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Come catalogare i segnali deboli

La catalogazione dei segnali deboli è l’anello di congiunzione tra la fase di raccolta e quella di interpretazione o sense-making. Nel momento in cui decidiamo di catalogarli, stiamo già cominciando a dare loro un senso, tanto che in alcuni metodi, i segnali deboli vengono semplicemente definiti da una, due o tre parole e basta, senza associare alcun tag.

Tecnicamente parlando l’esercizio potrebbe bastare, ma se un singolo segnale può rappresentare un avvertimento di un rischio o di una opportunità, figuriamoci un flusso di segnali che convergono o divergono da un certo punto.

Ed allora come li cataloghiamo? Esistono diversi approcci, ed io ne aggiungerò uno personale al termine di questo post. Ma, forse, è importante iniziare a dire cosa non fare: creare o escludere categorie che esprimono posizioni preconcette su un tema. 

Ho scritto che il cervello umano tende a raccogliere solo le informazioni che gradisce, che vanno a supporto della propria posizione e che confermano un nostro schema mentale. Addirittura, quelle contrarie o le plasmiamo a nostro favore, o le scartiamo. Ecco, non c’è nulla di più sbagliato che cercare i segnali deboli in maniera aperta, fluida e democratica, per poi ingabbiarli, attraverso le categorie, nei nostri schemi mentali.

Come catalogare i segnali deboli

Una bella rappresentazione, già abilmente suddivisa tra rischi ed opportunità, è quella del grafico. Per categorizzare le opportunità si ricorre al famoso PESTLE, cioè si suddividono i segnali a seconda che siano Political, Economic, Social, Technological, Legal ed Environmental. Per categorizzare i pericoli si usano le forze di Porter: competitor, fornitori, nuovi entranti nel mercato, consumatori stessi e prodotti sostitutivi.

Questo approccio è semplice, praticabile, ottimo. Se dovessi fare un appunto, non vedo perché le due logiche non possano applicarsi ad entrambe i casi. Un fattore tecnologico può essere sia un’opportunità che un rischio (specialmente se non dispongo io di quella tecnologia). Così come l’evoluzione dei gusti dei consumatori, per esempio, non è detto sia un rischio, specialmente se viene incontro al mio sistema di valori e caratteristiche che ho sviluppato nel mio prodotto! E così via.

Non dimentichiamoci però, che la ricerca dei segnali deboli di futuro va a beneficio dell’azienda, della pianificazione e della sua strategia. Ecco perché, nel contesto dove il fine è erogare valore, mi sento di proporre un ulteriore approccio che è semplicemente basato sulla catena del valore. Un tema noto a qualsiasi studente esca da un corso non prettamente umanistico ed entri in azienda.

Nella sua accezione più semplice è rappresentata qui sotto.

Come catalogare i segnali deboli

Ma, anche al netto delle eventuali personalizzazioni di settore e caso specifico, la logica mi sembra semplice: andare a capire dove il segnale debole di futuro può impattare sul modo aziendale di erogare valore. Ben sapendo che lo stesso segnale può impattare in luoghi diversi della catena del valore e, teoricamente, anche con effetti di direzione opposta (rischio / opportunità).

Se dovessi mettermi il cappello di uomo di finanza, che poi by the way, è quello chiamato a trasformare in numeri le strategie aziendali, non avrei dubbi a scegliere questo modo di categorizzare i segnali deboli. La giunzione logica tra “punti di impatto nella catena del valore”, luoghi della rappresentazione finanziaria (conto economico, stato patrimoniale, flussi di cassa) e persino possibili azioni da intraprendere (sia di accelerazione che mitigazione),  se non è immediata poco ci manca. Di sicuro è facilmente mappabile.



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